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Nave
di MAURO TONINELLI 10 dic 2018 14:18

Mazí, a scuola per stare insieme

Il 25enne navense Michele Senici nell’isola greca di Samos, dove ha portato il teatro fra i giovani migranti che fuggono “dall’inferno del campo profughi”

“Partire per Samos è stata una scelta presa con rapidità, e allo stesso modo – racconta Michele Senici, venticinquenne di Nave – è passato il mio mese vissuto tra le strade polverose e malmesse di Vathy”, la capitale dell’isola che dal 2015 ospita un campo profughi, costruito per ospitare 650 persone. Il campo, è stato installato ed è gestito dal governo greco, con il supporto di UNHCR ed i finanziamenti dell’Unione Europea. Michele è stato volontario con l’ong Still I Rise. Si tratta di una ong italo-greca, fondata da Nicolò Govoni, Giulia Cicoli e Sara Ruzek durante l’estate del 2018, per cercare di rispondere ad una delle emergenze più tragiche causate dalla crisi dei migranti del Mediterraneo, che ha luogo ogni giorno ed ogni notte sull’isola di Samos, in Grecia. Samos si trova a circa un miglio di mare dalle coste turche, e da queste, centinaia di uomini e donne provenienti dalla Siria, dal Medio Oriente, dall’Afghanistan, ma anche dall’Africa fino ad arrivare al Camerun, tentano quotidianamente la traversata in mare per giungere in Europa, ed accedere al sistema di asilo politico e protezione internazionale.

“La situazione è tragica, e tutte le grandi organizzazioni non governative – spiega Michele – hanno lasciato l’isola, nel momento in cui il governo greco ha scelto di non finanziare più il loro operato. Solo quattro ong indipendenti, che si sostengono con donazioni private, continuano ad occuparsi di quella che è una delle più grandi tragedie dell’Europa contemporanea”.

Il campo in cui Michele ha dato una mano è “all’estremo della sua capienza: le persone dormono ammassate in container o in tende da campeggio arrampicate nel bosco”. Il 52% degli occupanti è composto da donne e bambini e il 22% del totale dei minori non è accompagnato. In questo contesto l’ong Still I Rise ha deciso di aprire una scuola per accogliere i ragazzi e le ragazze dai 12 ai 18 anni. Mazí è il nome della scuola, e in greco, Mazí significa insieme. Qui, ogni giorno, dalle 8.45 alle 18 i ragazzi trovano “un porto sicuro per fuggire all’inferno del campo. Ricevono la colazione e il pranzo, lezioni di inglese, greco, matematica, diritti, doveri e cultura europea. Nel mese in cui sono stato a scuola, anche un laboratorio teatrale – continua Michele – e c’è spazio per la lettura, il gioco, il tempo libero, il divertimento. C’è tutto quello che dovrebbe essere normale per un ragazzo o una ragazza di questa età”.

Come spesso capita il mese passa in fretta. Michele è rientrato a Nave, in una realtà completamente diversa, in cui la scuola pare essere un peso e non una opportunità, in cui le scene di cui è stato testimone si vedono solo in tv e paiono molto lontane se non surreali.  Il tutto si scontra con ciò che rimane alla fine di una esperienza di questo genere: “quello che sento è un insieme doloroso e felice di sentimenti diversi. Anzitutto la gratitudine nei confronti di chi ha scelto di aprire questa scuola e di offrire un’esperienza educativa e scolastica a chi, da sempre, se l’è vista negata. Poi l’impotenza, perché quanto succede a Samos è inaccettabile (o dovrebbe esserlo) – riflette – per qualsiasi essere umano. Cosa possiamo fare? Nulla. Non puoi non chiederti e risponderti quando ti ritrovi in mezzo a quel disastro che è il campo profughi.  e Segue però la gioia, per aver visto il teatro toccare la vita di alcuni di questi ragazzi, che hanno trovato uno strumento per ascoltarsi e raccontarsi, per sperimentare un altro modo per sentire la potenza, la delicatezza e allo stesso tempo l’importanza, della loro biografia”.

Un’esperienza che cambia, che tocca le corde della coscienza e del cuore: non si può vivere indifferenti a tutta questa tragedia, soprattutto se la si è toccata con mano, soprattutto se si è vissuto a stretto contatto con coloro che non sono esseri umani anonimi, non più. Ora dietro al ricordo e al volto ci sono un nome e una storia, ci sono attimi condivisi, ci sono sogni e speranze che forse non vedranno mai la realizzazione. E il cuore di Michele non è di pietra: “la determinazione di voler tornare, perché questa, per me, non è una storia che si conclude qui, ma è solo l’inizio di quella che voglio che sia la mia vita di ogni giorno. farò quanto m’è possibile per fare in modo che questa sofferenza venga alleviata, che questi uomini ricevano un benvenuto in Europa che sia degno della nostra umanità”, conclude. Ed è grazie a chi crede nell’umanità e nell’Europa che si può ancora continuare a sperare in un mondo che sia sempre più umano.

MAURO TONINELLI 10 dic 2018 14:18