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Brescia
di GIUSEPPE BELLERI 23 dic 2020 15:05

Battista, l’alpino della Valle

Spesso il Natale è tempo di bilanci sul proprio vissuto familiare. Ed è proprio in questo frangente che tornano alla mente ricordi di un tempo andato che sottolineano come l’essere umano possa essere capace di slanci solidali anche e soprattutto quando tutto sembra volgere al peggio. La famiglia di Gianfranco Zucchi − nato nel luglio del 1938 e famoso per le macchine di Leonardo da lui costruite − abitava a Brescia in via Calatafimi, 15 e ricorda bene la sua infanzia. Quando giocava nel cortile e per la strada, a quel tempo poco frequentata, ogni tanto la palla finiva nel giardino della villa del famoso fotografo Negri: gli suonava il campanello e il sig. Umberto gli apriva il cancello o gli ributtava il pallone.

Ricordi. “Uno dei ricordi più vividi − ha raccontato Gianfranco − capitò alcune settimane dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando, chi era trovato con una divisa militare veniva arrestato e mandato nei campi di concentramento. Mio padre Celestino, classe 1902, era un impiegato del Comune di Brescia ed era il responsabile degli autisti e dell’officina nella sezione economato, e all’occorrenza faceva anche l’autista al Prefetto o al Podestà. Un giorno, sarà stato metà settembre, mio padre aveva accompagnato il podestà alla caserma Randaccio, che era confinante con la nostra casa, e s’era fermato con l’auto dietro alla fila di camion carichi di prigionieri italiani; mentre la sentinella stava accompagnando il Podestà dal comandante, Celestino fece ‘Psssst’ al giovane artigliere alpino che era affacciato al tendone dell’ultimo camion e gli disse: ‘Scendi senza farti vedere e vai di corsa dentro quel palazzo’, e gli indicò la sua casa che aveva 3 porte, una per scala, sempre aperte, chiudi la porta, nasconditi in cantina e aspettami’. Al termine della giornata mio padre ritornò a casa e trovato il prigioniero lo portò in casa, gli diede degli abiti civili e quindi lo accompagnò a Costorio, frazione di Concesio, dalla madre Catina che non vedeva da molti mesi. Fu commovente l’abbraccio fra l’alpino Battista e sua mamma, che essendo vedova aveva nel figlio l’unico sostegno: entrambi non smettevano di ringraziare il salvatore Celestino”. L’anno dopo la signora Catina, che aveva un piccolo bar con accanto un gioco di bocce, ebbe modo di sdebitarsi ospitando la famiglia di Gianfranco Zucchi (oltre al padre, anche la madre Luigia e i suoi due fratelli) che era sfollata da Brescia per sfuggire alle bombe. Gianfranco ha un buon ricordo di quel periodo, pieno di giochi nei vicini campi di pesche; rammenta ancora con sgomento quando un giorno l’aereo Pippo mitragliò lui e il fratello: rimasero incolumi perché si buttarono in un fosso. Incontrò ancora, dopo la guerra, il sig. Battista, che nel frattempo si era sposato ed aveva avuto anche due bambine, poi si sono persi di vista, ma ora, nel raccogliere altre informazioni per questo articolo abbiamo ritrovato la signora Luigia, moglie di Battista − lui, come si dice fra gli alpini, è già andato avanti da tanti anni − amorevolmente accudita da una delle sue figlie; quando si sentiranno pronte potranno riabbracciare il figlio del salvatore del giovane alpino valtrumplino.

GIUSEPPE BELLERI 23 dic 2020 15:05