Sveno, uomo buono e giusto
Sveno era il suo nome e bastava nominarlo per ricevere in cambio bontà e sorrisi
Sveno è andato nel Paradiso riservato ai giusti e ai buoni. E lui giusto e buono lo è stato davvero, senza suscitar clamore e senza cercare applausi, semplicemente mostrando il volto sincero della generosità. E’ accaduto giovedì scorso, 21 febbraio, al termine di un cammino durato 91 anni (era nato il 6 aprile 1926), che nel tratto conclusivo non gli ha certo risparmiato sofferenze, tutte accettate come fossero benedizioni. Quel giorno Sveno ha salutato, pregato e raccomandato di pregare per lui; poi, senza incomodare nessuno, si è avviato verso la porzione di cielo riservata ai giusti. Sabato pomeriggio nella chiesa di Pezzo don Pierantonio, suo parroco e confidente, ha celebrato il funerale, benedetto quello che per lui e per tanti è stato “figlio benedetto di Pezzo” oltre che “papà dei poveri”, pronunciato parole riconoscenti e innalzato in suo onore e suffragio il canto di pace. Alla fine, mentre l’ultimo debole raggio di sole si posava sulla cima della montagna più alta, le porte del piccolo camposanto attaccato alla chiesa e ancora carico di neve si sono spalancate per consentirgli il meritato riposo.
Si chiamava Sveno in ricordo del nonno albanese e perché così il prete lo aveva segnato sul libro dei battesimi, ma per l’anagrafe comunale il suo nome era Eraldo, della famiglia Faustinelli di Pezzo, frazione di Ponte di Legno. Sveno era il suo nome e bastava nominarlo per ricevere in cambio bontà e sorrisi. Straordinario? No, semplicemente normale. Infatti, quel che aveva era di tutti, il suo lavoro era per tutti, la sua presenza significava comprensione e affetto, incontrarlo apriva il cuore alla speranza e conoscerlo aggiungeva gioia alla vita. Bastava bussare e lui era disponibile, era sufficiente che un malato o un qualsiasi povero cristo, o un ragazzo della scuola in cui era bidello avessero bisogno e lui era già al loro fianco. Poi, d’estate Sveno spostava il suo mondo a Case di Viso, dove non passava giorno senza che dalla sua modestissima baita uscissero lezioni di accoglienza, di condivisione e di affetto. Della valle di Viso, Sveno era anima e cuore: lo sapevano gli ammalati che a luglio, organizzati dall’Unitalsi, trovavano il luogo ideale per fare festa e sentirsi amati; ne erano certi gli amici che lassù ritrovavano serenità e voglia di vivere; lo testimoniavano i volti di coloro che sentendo pronunciare il suo nome s’illuminavano d’immenso.
Questo suo modo di essere e di intendere la vita gli valse, tanti anni fa, il Premio alla bontà che la città di Brescia assegna nel nome di Pietro Bulloni. Con la semplicità che solo i generosi posseggono, Sveno destinò la somma avuta in dono all’acquisto di medicine e cure per gli ammalati e anziani. Qualcuno scrisse allora che quel montanaro esile e sorridente era la raffigurazione di un bene che non esisteva più, ma che era ancora possibile. Al cronista che gli chiedeva di raccontare i suoi giorni Sveno rispose che preferiva fossero i giorni a raccontare lui “perché i giorni – disse –, che sono specchio fedele di ciò che avviene, non mentono e non esagerano mai”.