Gleno: gli invisibili sopravvissuti
Francesco Zeziola, figlio di Paola Dellasera, sopravvissuta alla tragedia del Gleno, ha raccolto in un libro la storia e le emozioni della madre
Il racconto della tragedia da un altro punto di vista: non delle vittime, ma di chi è sopravvissuto, dovendo poi convivere con la paura e il senso di colpa per il resto della vita. “Il Disastro del Gleno 1923-2023. I sopravvissuti: gli invisibili della tragedia. Lo sguardo sulla vita di una di loro” è il libro scritto da Francesco Zeziola, 72 anni, figlio di Paola Dellasera, che si è salvata dall’onda di morte del Gleno (che ha distrutto la propria abitazione e la vita della madre e dei tre fratelli) perchè in quel momento era fuori casa per fare la spesa. Aveva 9 anni. La ricostruzione della storia privata come specchio di quella collettiva ben testimonia il disorientamento e la solitudine nel cuore di Paola, che da quel terribile 1° dicembre 1923 dovette fare i conti con una normalità perduta per sempre e un dolore che quasi mai le avrebbe consentito di lasciarsi andare al racconto.
Nel libro si percepisce bene il senso di responsabilità derivato da un’eredità pesante, quella della vicenda personale di sua madre...
Più il tempo passa, più mi accorgo che il ricordo del disastro del Gleno è quasi inesistente. Quindi, mi sono sentito il peso di una duplice responsabilità: una nei confronti di una donna che ha perso tutto, mia mamma, e una nei confronti della memoria collettiva che andava svanendo. Vorrei che queste persone non siano morte invano...
Per raccontare la storia di sua madre, ha immaginato di proporle un’intervista. Come mai? Come è riuscito a ricostruire la storia nonostante i suoi silenzi?
La narrazione è il frutto di racconti episodici, ricostruiti da me e mia sorella Rita. Abbiamo articolato delle domande e ci siamo confrontati sulle risposte. Non c’è un’interpretazione da parte nostra né dei fatti, né dei sentimenti. Abbiamo capito che lei, come i tanti sopravvissuti delle diverse stragi, preferiva semplicemente non parlarne.
Questo trauma ha influenzato la sua vita, ma anche quella dei suoi figli e familiari. Francesco, come il Gleno è entrato e ha condizionato la sua esistenza?
Il Gleno è entrato nella mia vita casualmente, quando ho scoperto sulla lapide della chiesetta del Cappellino i nomi dei Dellasera. I 50 chilometri che ci separano da Corna (Francesco oggi vive a Chiari, ndr) hanno inciso, seppur ogni volta che tornavamo dagli zii e dai cugini camuni, che vivevano in una casa ricostruita proprio davanti alla chiesa, sentivo il ricordo della tragedia come doloroso. E questo sentimento si è ingigantito quando sono diventato padre, perchè ho capito davvero quanto sia dura perdere una mamma e i propri fratelli. Comunque, anche io ho le stesse nevrosi di mia mamma: ho paura del futuro, che percepisco come incerto, e ho timore che stia accadendo qualcosa di brutto...
Nel libro, c’è anche una parte teorica, dedicata agli studi sui sopravvissuti. Perchè?
Dietro al fenomeno dei sopravvissuti ci sono molti studi. Ho deciso quindi di condividere le mie riflessioni con i lettori e invitarli, qualora volessero, a proseguire l’approfondimento. Queste teorie dimostrano che chi sopravvive preferisce non parlarne e vive disturbi da stress post traumatico, preferendo diventare invisibile.
Conclude il libro sperando che “il ricordo non si limiti più solo all’anniversario”...
Ho due obiettivi minimali ma già rilievo: che la chiesetta venga sistemata per ergersi a monumento nazionale e che la diga del Gleno non sia solo una meta turistica, ma anche un luogo di riflessione.