Camminiamo insieme
Don Enrico Andreoli, l’attuale guida di Boario, si trasferisce a Costa Volpino come parroco di Corti, Piano di Costa Volpino e Volpino. In questa intervista si racconta
Classe 1956, don Enrico Andreoli è stato ordinato nel 1980 ed è originario della parrocchia di Artogne. Nel corso del suo ministero sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: dal 1980 al 1985 ha svolto il servizio di curato a Lumezzane San Sebastiano, dal 1985 al 1992 è stato a Marone, mentre dal 1992 al 2001 è stato chiamato dal Vescovo a fare il parroco di Capo di Ponte. Dal 2001 era parroco di Boario Terme dove, al suo posto, è stato nominato don Danilo Vezzoli.
Don Enrico succede, invece, a don Gigi Gaia (nuovo parroco di Roncadelle) a Corti, Piano di Costa Volpino e Volpino, in una realtà che ha iniziato il cammino verso l’unità pastorale. Parliamo di una realtà di circa 7.500 abitanti inserita nella provincia di Bergamo. Arriva con la consapevolezza della necessità di favorire un percorso comune senza, però, necessariamente eliminare le tante peculiarità di ogni comunità.
Don Enrico, cosa ha imparato in questi anni di ministero?
Nei 38 anni di servizio in quattro comunità alquanto diverse, dalla Valtrompia al Sebino, sino alla Valcamonica, ho potuto imparare molto dalla concretezza lumezzanese, dall’impostazione educativa dell’Azione Cattolica a Marone, come pure dalle opere di restauro tanto a Capo di Ponte come pure a Boario. Ma certamente gli ultimi 17 anni vissuti in questa comunità, che raccoglie tanti profughi dello spirito dalla Valle e un po’ da tutta Italia, mi hanno aiutato nell’arte sempre più rara dell’accoglienza delle persone così come sono, senza pregiudizi.
Quali sono le attenzioni pastorali sulle quali vuole insistere?
Vorrei poter passare da un’ospitalità solo liturgica ad un’accoglienza più personale, sempre però alquanto discreta, senza forzature, aiutando le persone a fare i passi che sono in grado di fare al momento, lasciando il compimento all’unico Protagonista. Negli ultimi anni ho dato priorità alla formazione degli adulti nelle Oasi della Parola e nell’accompagnamento dei catechisti piuttosto disorientati dalla nuova Icfr che ritengo bisognosa di un ripensamento e di un confronto con le esperienze di diocesi vicine. Anche nella nuova destinazione non potrò che insistere in tal senso, visto come gli adulti che dovrebbero essere gli educatori alla fede ne abbiano essi stessi perso i fondamentali.
Cosa è stato determinante nella sua scelta vocazionale?
Nell’infanzia anzitutto la fede semplice dei miei genitori, nell’adolescenza l’ammirazione per i due curati di Artogne, don Mario Prandini e don Giacomo Ercoli, tanto diversi e complementari da permettermi un confronto aperto, talora dialettico con loro, così da non formarmi un cliché unico, ma di sperimentare modi diversi e tutti compossibili di essere prete.
C’è un versetto del Vangelo che l’ha accompagnata in questi anni?
Non un passo evangelico, piuttosto il Salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori…”. Sarà che mi è toccata la sorte di essere coinvolto in tante opere murarie, ho sempre sentito che era più facile restaurare le strutture che cambiare la testa delle persone o al limite convertire il mio cuore. A cosa ci servono tante strutture (chiese, oratori), a che pro ci affanniamo per tante iniziative che rispondono solo al nostro bisogno di occupare spazi sociali, se perdiamo di vista le persone e la loro sequela dietro a Cristo, l’Unico necessario?
Arriva in una realtà che sta camminando verso l’unità pastorale. Cosa si sente di dire alle tre comunità di destinazione?
Alla gente di Volpino, Corti e Piano, come pure ai preti collaboratori, chiedo di aiutarmi a capire i passi comuni già compiuti, per camminare verso un’unità che non annulli le peculiarità di ogni singola parrocchia. Ma sarà necessario anche fare una scelta di priorità pastorali, imparando a discernere cosa compete alla comunità ecclesiale e cosa invece vada lasciato alla responsabilità della società civile.