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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 08 giu 2020 08:44

Per un rinnovato patto di fiducia

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Intervista a Valeria Arzenton, del Gran Teatro Morato, tra difficoltà contingenti e progetti per riallacciare il rapporto con il pubblico interrotto il 23 febbraio

Il mondo dello spettacolo, con lo stop imposto a ogni attività a partire già dal 23 febbraio, è forse il settore che più di ogni altro in Italia ha pagato le conseguenze più pesanti del lockdown. Particolarmente penalizzato è stato quello privato, quello che non può accedere alle risorse statali previste dal Fus, il Fondo unico per lo spettacolo. Per denunciare lo stato di profonda crisi di segmento è nata nelle scorse settimane l’Associazione teatri italiani privati, tra i cui soci fondatori c’è anche “Zed!”, proprietaria, insieme alla Mattel, del Gran Teatro Morato di Brescia, che vede in prima linea Valeria Arzenton. Impegnata in queste settimane a cercare un confronto con il governo e con le altre istituzioni per affrontare insieme le difficoltà del settore, Valeria Arzenton parla in questa intervista delle difficoltà del Gran Teatro Morato e del suo rapporto Brescia.

Il 15 giugno riaprono cinema e teatri. Siete pronti?

Con l’indicazione delle misure per la riapertura dello spettacolo dal vivo, quella del 15 giugno è una pia intenzione. Per un’impresa come la nostra che si basa unicamente sulla vendita dei biglietti è impossibile riaprire potendo accogliere in uno spazio come il Gran Teatro Morato, con i suoi 2.000 posti, possano entrare solo 200 persone, attori e maestranze compresi. Non è un’operazione sostenibile.

Le sue parole sono ventate dallo sconforto...

Assolutamente no, non c’è la neppur minima intenzione di gettare la spugna. È forte, invece, la determinazione di non lasciarci travolgere da una situazione che è ancora molto confusa. Per questo stiamo cercando, con tutte le forze, di trovare il modo per lavorare con le istituzioni per sensibilizzarle e con queste trovare soluzioni dignitose per il nostro settore.

Al di là dei limiti imposti dalla legge, qual è ad oggi la difficoltà più grande che state incontrando?

In questo momento mi sto battendo perché mi sembra ci sia in corso una campagna informativa sbagliata sul teatro, fatto passare come un luogo poco sicuro. Si tratta di un’immagine forviante. Voglio ricordare che quelli del Gran Teatro Morato sono da sempre spazi sicuri, in cui i concetti di sanificazione e contingentamento risalgono a prima del coronavirus. Assegnando praticamente tutta la nostra capienza in prevendita abbiamo l’anagrafica del nostro pubblico, sappiamo chi sono e come contattare le persone che scelgono le nostre proposte, sappiamo da dove arrivano, in quale parte precisa del teatro prenderanno posto. Si tratta di indicazioni che nessun’altra realtà può vantare. Questo è il patrimonio di conoscenze e di competenze che possiamo mettere in campo in un confronto con le istituzioni per trovare soluzioni per noi impraticabili, soprattutto in una prima fase di riapertura.

Lei portando avanti la battaglia per accreditare teatri come luoghi sicuri. Perché?

Perché realtà come il Gran Teatro Morato sono veri e propri presidi della cultura che hanno bisogno di un rapporto fiduciario con le comunità in cui sono inserite. La sicurezza oggi è uno dei cardini di questo rapporto. Solo sensibilizzando su questo aspetto potremo andare a riprendere uno per uno ogni singola persona del nostro pubblico.

Come si ricostruisce questo rapporto?

È questa la vera sfida: far capire al territorio in cui operiamo che ci sentiamo a tutti gli effetti tra le sue parti vive, che solo insieme potremo ricominciare un percorso di ripartenza. Nelle settimane del lockdown, abbiamo donato anche grazie al nostro partner, prodotti alimentari alla Caritas. Abbiamo poi lanciato l’idea del biglietto socialmente attivo: verseremo un euro per ogni biglietto acquistato per aiutare realtà locali impegnate nella ricerca. E se non riusciremo a riaprire dignitosamente il teatro, proponiamo che lo spazio di via San Zeno resti comunque uno spazio per la cultura. Come? Trasformandolo in spazio per l’educazione universitaria o scolastica, perché possa ospitare giovani e giovanissimi. Sono queste le sfide che stiamo portando avanti e sulle quali chiediamo anche un dialogo, un confronto con la politica e le istituzioni perché non ci lascino soli. Nel frattempo lavoriamo a programmi per la riapertura.

MASSIMO VENTURELLI 08 giu 2020 08:44