Giovanni Battista Sidoti: l’ultimo missionario
Continua il ciclo primavera-estate 2023 del “Teatro dell’anima” di “Missione Oggi”. Il prossimo appuntamento, in calendario questa sera 20.30 nel Complesso San Cristo, è con “L’ultimo invasore disarmato nel Giappone del 1700. Giovanni Battista Sidoti” di Giuseppe Marchetti, liberamente ispirato al libro L’ultimo Missionario di Renzo Contarini e Augusto Luca.
Giovanni Battista Sidoti aveva un grande desiderio: parlare con l’imperatore del Giappone per convincerlo che i missionari non sono l’avanguardia delle potenze occidentali che intendono conquistare il Giappone. Per realizzarlo infranse la legge giapponese che vietava l’accesso agli stranieri, in particolar modo ai missionari cattolici. Per Sidoti, quella legge era come il ladro che ti aspetta in strada, ti punta il pugnale alla gola e ti impone la sua regola: – O la borsa o la vita. Sta a ognuno decidere a cosa rinunciare. Alla borsa, cioè al proprio desiderio, o alla vita?
Sidoti non rinunciare al proprio desiderio, nonostante il divieto del Papa di recarsi in Giappone (e di attendere invece a Manila che la situazione politica dell’impero nipponico evolva in favore dei missionari), sbarca sulle coste dell’isola di Yakushima il 10 ottobre 1708. Viene subito arrestato, inviato prima a Nagasaki e poi a Edo, l’attuale Tokio, dove si illude di poter essere ricevuto dall’imperatore. Viene, invece, sottoposto a un regolare processo, dove gli interrogatori sono condotti dal consigliere più autorevole dello Shogun (il vero governatore del Sol Levante), Arai Hakuseki, un personaggio di primo piano, storico e uno dei migliori prosatori giapponesi del secolo XVIII.
Per il consigliere dello Shogun il cristianesimo non è una religione perversa. Lui l’ha studiata sul testo di un gesuita italiano, Chiara Giuseppe, entrato clandestinamente in Giappone nel 1643 e subito arrestato, processato, sottoposto a tortura fino a quando non abiurò. Imprigionato nella stessa prigione in cui dimorerà Sidoti, su ordine dello Shogun mise per iscritto la dottrina cristiana, esposizione che completò nel 1674. Studiandola, Arai si convinse che il cristianesimo fosse una derivazione dal buddhismo. Da confuciano (una delle maggiori tradizioni filosofico-religiose, morali e politiche della Cina penetrata nel Giappone), quale egli è, diffida delle religioni, sospetta di un fondo violento nascosto in ognuna di esse. Ne scova la violenza e l’aggressività nella pretesa che ogni fede avanza di essere l’unica vera, l’unica rivelata, l’unico strumento di salvezza, e, di conseguenza, pretende di prevalere sulle altre.
Le religioni, per Arai, possono produrre il bene e contemporaneamente il male, e persino possono produrre il male producendo il bene. Ma non è per questa ragione che il cristianesimo è bandito dal Giappone, ribadisce Arai, ma perché rispetto al buddhismo e al confucianesimo, il cristianesimo è una religione pericolosa dal punto di visto politico e sociale perché contiene la potenzialità di sconvolgere l’ordine della società giapponese, fondata su quello cosmico. Quando i missionari cristiani annunciano la fede in un Supremo Signore, creatore del cielo e della terra, un’entità spirituale non contemplata dal confucianesimo, predicano il caos, l’anarchia, la ribellione.