Caccamo: tutto ha un senso
Filippo Caccamo, comico, autore, attore e, per sua stessa ammissione, “insegnante disperato”, ha fatto nei giorni scorsi tappa al Teatro Dis-play di Brescia con lo spettacolo “Le Filippiche”. “Voce” lo ha incontrato per conoscerne l’evoluzione da docente di scuola media, forte di una laurea in storia e critica dell’arte, a influencer da oltre mezzo milione di followers, capace di riempire teatri in ogni angolo d’Italia.
Caccamo, lei ha 30 anni e un curriculum lungo e variegato. Cose le hanno dato le tante “vite” vissute sino a oggi?
Sicuramente la voglia di sperimentare e mettermi alla prova. L’ho fatto nella scuola, davanti alla telecamera televisiva, davanti al cellulare per fare un live, su un palco. C’è un filo rosso, poi, che tiene insieme tutte queste esperienze: quello della comicità, che è un linguaggio universale. La gente ha voglia di ridere e il modo o gli strumenti con cui si soddisfa questa voglia sono abbastanza indifferenti.
“Castigat ridendo mores” dicevano i latini. È la chiave che agli inizi l’ha spinta a parlare della scuola?
Sì, direi proprio di sì, perché la comicità ha esattamente questo compito: far vedere da un’altra prospettiva i drammi della vita di tutti i giorni. Per cui soprattutto in questo tempo dove le problematiche della scuola sono amplificate e c’è la frenesia di risolverle velocemente, la comicità, cioè la capacità di vedere le cose da un altro punto di vista, è una salvezza.
Il ritratto del mondo della scuola che lei porta in scena e sui social è impietoso. Eppure sono tantissimi gli insegnanti che affollano i suoi spettacoli...
Quello che noto nei miei spettacoli e nei commenti sui social è che, anche se presi di mira, gli insegnanti si sentono parte di una grande comunità, in cui i problemi di uno sono i problemi di tutti. È il famoso principio del mal comune mezzo gaudio: se vedo che le cose che accadono a me accadono anche agli altri che l’affrontano con il sorriso allora mi sento meglio. È una vera e propria community. Questo senso di appartenenza non porta solo a ridere e sorridere, ma anche ad affezionarsi, attraverso la mia interpretazione, al loro ruolo. Forse imparano ad apprezzarsi, a volersi un po’ più bene. Ecco, in questo, credo che vedano in me una sorta di megafono che dà voce a circostanze e bisogni.
In questo momento, gli insegnanti e gli studenti stanno vivendo un periodo particolare, molto stressante, forse il più complicato, tra impegni di fine d’anno ed esami che si avvicinano. C’è un messaggio o un consiglio che vuole dare ai suoi ex colleghi?
Continuare a essere convinti che tutto abbia un senso, anche il 200esimo verbale dell’anno o l’ennesima interrogazione allo studente che si sa che non ha studiato, ma che ha una mamma lo considera Einstein! So che nel marasma sembra non avere senso, e invece tutto ha senso. Quando poi c’è un momento a bocce ferme, quando è estate, quando gli alunni dopo anni ci ricontattano per far sapere i loro risultati: allora lì si capisce che ha tutto senso. Non ci si fermi mai a quello che si sta facendo. Ma ci si concentri sul fatto che quello che si fa ha un valore per sè e per gli altri.
Un’ultima domanda. Oltre che sul palco lei è particolarmente attivo su YouTube, Instagram, Facebook e TikTok. Social molto diversi, con community e modalità di comunicazione molto diversa. Qual è la “formula magica” del suo progetto?
Credo che il tutto si possa riassumere nel dovere di conoscere il pubblico per cui si lavora, che è diverso da social a social. Il ragionamento che ho fatto in questi ultimi mesi, e che mi ha fatto ottenere questo exploit di followers, è proprio il fatto che ho ragionato più a palinsesto che a contenuto. C’è, poi, un’altra regola nel mondo dei social che molti, com’è capitato anche a me, attuano: considerare i social come se fossero tutti un grande canale dove pubblicare dei video pseudo uguali e che devono funzionare in maniera uguale.