Sbattere il mostro in prima pagina
La Comunità Shalom rappresenta una realtà importante descritta in modo distorto dai media. In questa intervista suor Rosalina ristabilisce la verità
Una comunità di vita. Una giornata alla Shalom di Palazzolo permette di tornare indietro nel tempo. L’azione della Provvidenza cara a San Giovanni Bosco e al Cottolengo è evidente ancora oggi nella campagna di Palazzolo. E non potrebbe essere diversamente. Parliamo, infatti, di una realtà che non percepisce contributi dallo Stato ma che, in totale autonomia, porta avanti un lavoro faticoso. Gli stessi ospiti non pagano alcuna retta. Poggia sulle forze umane ma soprattutto si affida a Cristo. E questo lo si vede nello scorrere del tempo scandito dall’ora et labora benedettino. Gli ospiti della comunità si sporcano le mani, sudano, pregano, piangono e ridono insieme. Lo fanno nella falegnameria o nella cura degli animali della fattoria, nelle piccole faccende domestiche, nella produzione del formaggio o nell’assemblaggio di piccoli prodotti per alcune aziende. Il carisma di suor Rosalina Ravasio unito al servizio dei Piccoli Apostoli e ai tanti volontari (dagli psicologi alle lavandaie, dagli insegnanti ai veterinari...) che animano la struttura fa la differenza. Qui hanno trovato e trovano accoglienza e rifugio 300 persone che in molti casi sono uscite, anche solo temporaneamente, dal tornante della vita. Sono finite fuori strada. Sedotte e abbandonate dal mondo. Ai margini e con il rischio concreto di essere schiacciate dalle loro stesse dipendenze: droga, alcol, gioco d’azzardo… Qui lentamente riprendono l’autostima. Qui lentamente riprendono contatto con la società. In molti casi sono diventati a loro volta educatori. La loro esperienza diventa anche una testimonianza concreta per i tanti (gruppi, associazioni, grest…) che passano ogni giorno in via Raspina per ascoltare le loro storie o per le tante comunità che li invitano per l’accompagnamento liturgico o per la proposta delle missioni popolari. Negli ultimi anni la Shalom è stata al centro di una brutta vicenda giudiziaria che, fortunatamente, si è risolta in modo positivo. La giustizia fa il suo corso, ma è onestamente improbabile pensare che in una comunità così articolata (e dove chiunque può uscire quando vuole) il metodo educativo possa comprendere e autorizzare le violenze (botte e digiuni forzati). Non avrebbe retto e non reggerebbe così a lungo. A noi piace, invece, pensare ai tanti volti che alla Shalom hanno ripreso a vivere.
Suor Rosalina, si sente più amareggiata dalle accuse che hanno dato vita al procedimento o dal modo in cui la stampa ha presentato la realtà della Shalom?
Prima di tutto, ringrazio il Signore perché è emersa la verità: i miei ragazzi, in 32 anni della nostra storia visibile agli occhi di tutti, grazie a Dio non si sono mai picchiati, pur consapevole che alcuni di loro, provenienti dalla psichiatria, avevano malattie violente sia verso se stessi, autolesionismo marcato, sia verso gli altri. Per quanto riguardo le accuse che hanno dato vita al procedimento penale appena conclusosi, penso siano state ispirate e motivate da una miscelatura composta da gelosia, invidia, cattiveria gratuita e, motivo non secondario, da un profondo odore dei soldi. La mia comunità è vista, in malafede, come un centro di potere. Qualcuno, visto che siamo partiti da una stalla diroccata con il cellophane sulle finestre, può arrivare a pensare: “Questa è piena di soldi”. Se poi la Comunità, pur riconosciuta ma non accreditata con la Regione per una scelta morale, fosse appunto convenzionata, saremmo qui a parlare, considerati i numeri, di un po’ di milioni di euro all’anno. Naturalmente, questi ignorano totalmente gli enormi e continui sacrifici di ogni genere sia fisici sia economico-finanziari per riuscire a mantenere la nostra autonomia nel solco del puro volontariato cattolico che da sempre ha caratterizzato la Chiesa bresciana sia nei secoli scorsi sia in tempi più recenti, mettendo a disposizione e in totale gratuità le proprie risorse e le risorse della Divina Provvidenza. Si pensi, solo per fare qualche esempio, al Piamarta o a Ludovico Pavoni.
Perché, secondo lei, c’è stata questa sorta di accanimento? Cosa le ha insegnato questa vicenda?
La mia personale esperienza e l’esperienza vissuta dalle famiglie degli ospiti sono state assolutamente negative, ma proprio per come è stata presentata la comunità senza un minimo tentativo di verifica. Nel mio e nel nostro caso possiamo parlare di una vera e propria distorsione della realtà. Alcuni quotidiani non hanno perseguito lo scopo di informare il pubblico nel miglior modo possibile, ma abbiamo assistito a una gara nello sbattere in prima pagina una notizia che potesse attirare più delle altre. Si può vedere, ad esempio, l’incredibile descrizione di alcune storie fantastiche (gli ospiti legati con il filo di ferro alla carriola), omettendo invece quelle reali che avevano avuto l’opportunità di ascoltare. Chiaro che se il giornalista vuol vedere solo queste cose, a prescindere dal vero o dal falso, certamente non si potrà mai leggere niente di vero sul perché della comunità. Ho sempre creduto che dal punto di vista deontologico il primo problema di un giornalista fosse quello di valutare la realtà, rendendo conto di ciò che accade il più obiettivamente possibile. E, invece, di tutte le cose vissute e dette realmente nella nostra comunità, nessuna corrisponde a quella descritta dai giornalisti. Seppure il giornalista giustifica i suoi modi come “vocazione alla verità di cronaca”, tuttavia nella stragrande maggioranza dei casi fa solo sensazionalismo spesso tinto di menzogna. La mia non vuole essere una critica rivolta ai giornalisti, bensì allo spirito di parte, al settarismo e alla presunzione da parte di qualcuno di giudicare fatti e personaggi osservati e accostati con il solo interesse di mostrare le cose da un’angolatura particolare. Grazie al Signore, nonostante molti articoli tendenziosi e irrispettosi (come aver sbattuto in prima pagina i nomi dei ragazzi), non ci sono riusciti, nonostante abbiano gonfiato a dismisura il problema. Nessuno informa correttamente il pubblico se a sua volta non si avvale di una minima corretta informazione. Ringrazio anche i giudici: il Pm Cassiani per l’onestà e la serietà con cui ha approfondito l’inchiesta; il Presidente del Collegio giudicante, Spanò, e i suoi colleghi, per le qualità di paziente lavoro, apertura mentale, imparzialità e sensibilità al problema. Un grazie speciale ai miei tesori: i volontari che non ci hanno mai lasciato soli nella speranza e nella preghiera, certi che il male si combatte anche quando la sua caratteristica più evidente, la menzogna, pare vincere.
Tanti personaggi anche famosi (dal mondo sportivo come il Ct Roberto Mancini o l’ex arbitro Mario Mazzoleni a quello dello spettacolo passando per il mondo ecclesiale) hanno sostenuto e sostengono la Shalom. Trascorrono anche alcune giornate con i ragazzi…
Il nostro stile, il nostro modo di essere e fare comunità è constatabile proprio dal continuo via vai di gente, gruppi, scuole e parrocchie che entrano, visitano e condividono in molti suoi aspetti la nostra comunità.