Il volto ritrovato dell'Abbazia
Sabato 26 settembre, presso l’abbazia olivetana dei Santi Nicola e Paolo VI di Rodengo, dopo il convegno e la Santa Messa, è stata inaugurata e benedetta dal priore dom Benedetto Toglia la facciata della chiesa. I lavori di restauro, iniziati a dicembre del 2019 e curati dallo Studio Garattini Malzani, sono terminati, grazie al contributo della “Fondazione della Comunità bresciana”, al supporto dell’associazione “Amici dell’Abbazia di Rodengo” e alle offerte della comunità monastica e parrocchiale.
La terza vita dell’abbazia. L’abbazia “ha appena compiuto i suoi primi 50 anni di quella che potremmo chiamare la sua terza vita. La prima vita fu quella della fondazione nel XII secolo – scrive Stefano Bruno Galli Galli, assessore all’Autonomia e Cultura della Regione Lombardia, nel suo saluto per il convegno – ad opera dei monaci benedettini Cluneacensi”. La seconda fase coincide con la riedificazione rinascimentale, sotto la congregazione olivetana e termina il 2 settembre 1797, giorno della soppressione dell’abbazia, a causa della secolarizzazione dei beni ecclesiastici. L’abbazia, abbandonata, iniziò il suo lento declino. Fu grazie all’intervento di Papa Paolo VI che nel 1969 tornarono i monaci olivetani, che iniziarono le operazioni di recupero e restauro, inaugurando la terza fase, dopo 172 anni di oblio. Numerosi pittori e architetti hanno dato il loro contributo nelle prime due “vite” dell’abbazia, che è uno dei più ricchi complessi religiosi del nord Italia, dal punti di vista artistico.
Le opere d’arte. Nella sagrestia si possono ammirare degli affreschi del Romanino; il refettorio, invece, venne sopraelevato nel 1600, per cui si sono persi gli antichi dipinti ad eccezione della “Crocifissione” del Foppa. Molte opere prima presenti in abbazia, si trovano, ora, al Museo di Santa Giulia, all’inizio Museo Cristiano, dopo essere stato monastero benedettino, ma vittima anch’esso della soppressione. Nonostante queste mancanze, ci troviamo di fronte ad “un’autentica galleria d’arte” racconta Roberto Bellini durante il suo intervento al convegno. Le indagini scientifiche fatte dai professori servono per recuperare la tradizione, dal punto di vista storico e artistico, di questo complesso architettonico, in modo da poter valorizzare, attraverso il restauro, l’arte in tutte le sue forme. È stata rinvenuta, ad esempio, “l’analisi di un architetto, Antonio Tagliaferri – spiega la prof.ssa Francesca Stroppa – che ha dato un’impronta neomedievale in alcuni punti del complesso di Rodengo come la cella campanaria, le decorazioni in parte in mattoni che si trovano nei chiostri e all’esterno” e non solo. Tagliaferri non è l’unico a dare questa lettura neomedievale: a fine Ottocento si percepisce la voglia di risistemare questo grande monumento, ma bisognerà aspettare il Dopoguerra, con l’azione degli Spedali Civili, di papa Paolo VI e del Ministero, per poter rivedere i monaci olivetani, grazie ai quali oggi si sono conclusi i lavori di restauro.