Sette anni con papa Francesco
Il 13 marzo 2013, dopo soli due giorni di conclave, i cardinali sceglievano il successore di Benedetto XVI. Il ricordo di quell'evento e di cosa abbia portato alla Chiesa il nuovo pontefice nelle parole del card. Tagle a Vatican News
Alessandro Gisotti, giornalista di Vatican News, in occasione del settimano anniversario dell'elezione di papa Francesco, ha intervistato il card. Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che. da poco cardinale, partecipò al Conclave. Il testo integralde dell'intervista su Vatican News
Card, Tagle, sono ormai trascorsi sette anni dall’elezione di Papa Francesco. Quali sono i suoi ricordi personali di quel 13 marzo 2013?
Ero uno dei sei vescovi creati cardinali nell’ultimo concistoro di Benedetto XVI il 24 novembre 2012. Tre mesi dopo ho fatto parte del Conclave che ha eletto Papa Francesco. L’intero evento costituisce un’unica esperienza, ma con molteplici sfaccettature. Tra i numerosi ricordi del 13 marzo 2013, ne vorrei raccontare due. Anzitutto, quando il cardinale Bergoglio ha ottenuto il numero di voti richiesti per essere eletto Papa, tra i cardinali sono scoppiati gioia, applausi e lodi a Dio, che ancora una volta ci assicurava che non avrebbe abbandonato la sua Chiesa. Ma quando ho guardato il cardinale Bergoglio, ho visto che stava seduto con la testa china. La mia esuberanza all’improvviso si è trasformata in pathos. Nella postura china del nuovo Papa percepivo il peso dell’obbedienza, l’inchinarsi alla misteriosa volontà di Dio. Ho percepito anche il bisogno di inchinarsi in preghiera, un atto di fiducia in Dio, che è il vero Pastore della Chiesa. Poi, quando ci siamo uniti a Papa Francesco per salutare la folla riunita in Piazza San Pietro, mi sono reso conto che ogni nuovo Pontefice è un dono che Dio “svelerà” lentamente nel corso degli anni del suo ministero papale, una promessa che Dio adempirà dinanzi al Suo popolo. Mentre il 13 marzo 2013 ringraziavo Dio per il dono di Papa Francesco, ero emozionato vedendo il dono e la promessa che Dio avrebbe iniziato a condividere con la Chiesa e il mondo negli anni a venire.
Lei ha avuto molte occasioni di incontro con papa Francesco. Che cosa la impressiona di più della sua persona e della sua testimonianza?
Il cardinale Bergoglio e io abbiamo lavorato insieme come membri del Consiglio Ordinario della Segreteria del Sinodo dei Vescovi dal 2005 al 2008. Mi impressiona il fatto che ha portato al papato la persona semplice, di humor e coscienziosa che ho sempre conosciuto. In praticamente tutti gli incontri che ho con lui, la prima domanda che mi pone non riguarda le questioni del giorno, ma è: “come stanno i suoi genitori?”. Anche se in molti giustamente lo considerano uno dei motori e forgiatori più influenti della storia e dell’umanità contemporanea, io vedo in lui e nelle nostre conversazioni una semplice “parabola” della vicinanza e compassione di Dio. Essendo una tale “parabola”, Papa Francesco può muovere e modellare la storia.
Per il Papa, gli scartati sono i primi: malati, poveri, migranti. Pensiamo ora alle persone colpite dal Coronavirus. Tuttavia, c’è chi ha difficoltà ad accettare la sua “opzione preferenziale” per gli ultimi. Perché, secondo lei?
Non voglio giudicare nessuno, specialmente chi, come dice lei, ha difficoltà ad accettare questa “opzione preferenziale” per gli scartati, come anche per il Creato. Desidero semplicemente ricordare a tutti, compreso me stesso, che l’amore speciale che i cristiani devono avere per gli ultimi nella società non è un’invenzione di Papa Francesco. La Bibbia, la pratica della Chiesa sin dalla sua nascita, gli insegnamenti sociali della Chiesa, la testimonianza di martiri e santi, nonché la missione costante della Chiesa per i poveri e i negletti nel corso dei secoli, costituiscono un coro e una sinfonia che siamo invitati ad ascoltare e ai quali siamo chiamati a unire le nostre voci e gli “strumenti” di cui disponiamo, vale a dire la nostra persona, il nostro tempo, i nostri talenti, la nostra ricchezza. Propongo di avere più contatti personali e incontri con le persone indifese e povere. Ma dobbiamo consentire a tali incontri di turbare il nostro cuore e di condurci alla preghiera, così che possiamo sentire Gesù che ci parla nei poveri.