Pregare non è una passeggiata
Il Papa ha ripreso le udienze in presenza di fedeli, riuniti nel Cortile di S. Damaso. Nel saluto iniziale rivela: “Vedere ognuno di voi mi fa piacere. Siamo tutti fratelli nel Signore, e guardarci ci aiuta a pregare l’uno per l’altro. Grazie per la vostra presenza, la vostra visita! Portate il messaggio del Papa a tutti, e il messaggio del Papa è che io prego per tutti e chiedo di pregare per me"
“Pregare non è una cosa facile. E per questo noi scappiamo dalla preghiera”. Lo ha detto il Papa, nella catechesi di oggi, svoltasi nel Cortile di San Damaso e dedicata alla preghiera come combattimento spirituale. “Ogni volta che vogliamo farlo, subito ci vengono in mente tante altre attività, che in quel momento appaiono più importanti e più urgenti”, l’analisi di Francesco, che ha rivelato: “Questo succede a me anche. Noi fuggiamo dalla preghiera, non so perché ma è così. Quasi sempre, dopo aver rimandato la preghiera, ci accorgiamo che quelle cose non erano affatto essenziali, e che magari abbiamo sprecato del tempo. Il Nemico ci inganna così”. “La preghiera cristiana, come tutta la vita cristiana, non è una passeggiata”, ha spiegato Francesco: “Nessuno dei grandi oranti che incontriamo nella Bibbia e nella storia della Chiesa ha avuto una preghiera comoda”. “Si può pregare come i pappagalli, ma questa non è preghiera”, ha aggiunto a braccio: “La preghiera certamente dona una grande pace, ma attraverso un combattimento interiore, a volte duro, che può accompagnare periodi anche lunghi della vita”. “Tutti gli uomini e le donne di Dio riferiscono non solamente la gioia della preghiera, ma anche il fastidio e la fatica che essa può procurare”, ha ricordato il Papa: “in qualche momento è una dura lotta tenere fede ai tempi e ai modi della preghiera. Qualche santo l’ha portata avanti per anni senza provarne alcun gusto, senza percepirne l’utilità. Il silenzio, la preghiera, la concentrazione sono esercizi difficili, e qualche volta la natura umana si ribella. Preferiremmo stare in qualsiasi altra parte del mondo, ma non lì, su quella panca della chiesa a pregare”.
“Chi vuole pregare deve ricordarsi che la fede non è facile, e qualche volta procede in un’oscurità quasi totale, senza punti di riferimento”. È il monito del Papa. “Ci sono momenti della vita di fede che sono oscuri – ha proseguito a braccio – e per questo qualche santo la chiama ‘notte oscura’ in cui non si sente nulla, ma io continuo a pregare”. “Il Catechismo elenca una lunga serie di nemici della preghiera, quelli che rendono difficile il pregare, che fanno difficoltà”, ha detto Francesco: “Qualcuno dubita che essa possa raggiungere veramente l’Onnipotente: perché Dio sta in silenzio? Se Dio è onnipotente, potrebbe dire due parole e finire la storia…”. “Davanti all’inafferrabilità del divino, altri sospettano che la preghiera sia una mera operazione psicologica”, ha proseguito il Papa: “qualcosa che magari è utile, ma non vera né necessaria: si potrebbe addirittura essere praticanti senza essere credenti”. “I nemici peggiori della preghiera sono però dentro di noi”, la tesi di Francesco: “Il Catechismo li chiama così: ‘Scoraggiamento dinanzi alle nostre aridità, tristezza di non dare tutto al Signore, poiché abbiamo ‘molti beni’, delusione per non essere esauditi secondo la nostra volontà, ferimento del nostro orgoglio che si ostina sulla nostra indegnità di peccatori, allergia alla gratuità della preghiera’. Si tratta chiaramente di un elenco sommario, che potrebbe essere allungato”.
“Cosa fare nel tempo della tentazione, quando tutto sembra vacillare?”. A chiederselo è stato il Papa. L’invito è a seguire i consigli dei maestri di spiritualità, i “maestri dell’anima”, li chiama Francesco, ognuno dei quali “ha offerto qualche contributo: una parola di sapienza, oppure un suggerimento per affrontare i tempi irti di difficoltà”. “Non si tratta di teorie elaborate a tavolino, quanto di consigli nati dall’esperienza, che mostrano l’importanza di resistere e di perseverare nella preghiera”, ha precisato Francesco, citando come esempio gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, definiti “un libretto di grande sapienza, che insegna a mettere ordine nella propria vita”. “Fa capire che la vocazione cristiana è militanza, è decisione di stare sotto la bandiera di Gesù Cristo e non sotto quella del diavolo, cercando di fare il bene anche quando ciò diventa difficile”, ha commentato il Papa, secondo il quale “nei tempi di prova è bene ricordarsi che non siamo soli, che qualcuno veglia al nostro fianco e ci protegge”. “Anche Sant’Antonio abate, il fondatore del monachesimo cristiano, in Egitto, affrontò momenti terribili, in cui la preghiera si trasformava in dura lotta”, ha fatto notare Francesco: “Il suo biografo, Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria, narra che uno degli episodi peggiori capitò al Santo eremita intorno ai trentacinque anni, età di mezzo che per molti comporta una crisi. Antonio fu turbato da quella prova, ma resistette. Quando finalmente tornò il sereno, si rivolse al suo Signore con un tono quasi di rimprovero: ‘Dov’eri? Perché non sei venuto subito a porre fine alle mie sofferenze?’. E Gesù rispose: ‘Antonio, io ero là. Ma aspettavo di vederti combattere’”.
“Combattere nella preghiera: e tante volte la preghiera è un combattimento”. Per spiegare questo invito e questa definizione, il Papa ha concluso la catechesi dell’udienza di oggi con un ampio e intenso racconto a braccio, narrando un episodio avvenuto quando era arcivescovo di Buenos Aires. “C’era un matrimonio che aveva una figlia di 9 anni, con una malattia che i medici non sapevano cosa fosse”, ha esordito Francesco: “Alla fine, in ospedale il medico disse alla mamma: ‘Signora chiami suo marito. La bambina non passa la notte, è un’infezione per cui non possiamo fare nulla’. Il marito era al lavoro, era un operaio, lavorava tutti i giorni. Forse non andava tutte le domeniche a messa, ma aveva una fede grande. Lasciò in ospedale la moglie e la figlia, prese un treno e si recò a 70 chilometri di distanza, verso la basilica della Madonna di Lujan, la patrona dell’Argentina. E lì, era chiusa già la basilica, erano quasi le dieci di sera. E lui si aggrappò alle grate della basilica e stette tutta la notte pregando la Madonna, combattendo per la salute della figlia. Non è una fantasia, l’ho visto io. Alla fine, alle 6 del mattino si aprì la chiesa, lui salutò la Madonna e tornò a casa. Quando arriva, cerca la moglie e non la trova, poi la trova sorridente: ‘Non so cos’è successo, i medici dicono che è cambiato, così e adesso è guarita’. Quell’uomo, lottando con la preghiera, ha avuto la grazia della Madonna”.
“La preghiera fa dei miracoli, perché va proprio al centro della tenerezza di Dio, che ci vuole come padre”, ha commentato Francesco: “E quando non ci fa una grazia ce ne farà un’altra, ma sempre il combattimento per ottenere una grazia. Tante volte chiediamo una grazia così, senza combattere: ma la preghiera è un combattimento, e le grazie non si chiedono così”. “Il Signore è sempre con noi”, ha concluso il Papa: “Gesù è sempre con noi: se in un momento di cecità non riusciamo a scorgere la sua presenza, ci riusciremo in futuro. Capiterà anche a noi di ripetere la stessa frase che disse un giorno il patriarca Giacobbe: ‘Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo’. Alla fine della nostra vita, volgendo all’indietro lo sguardo, anche noi potremo dire: ‘Pensavo di essere solo, invece no, non lo ero: Gesù era con me’. Tuti potremo dire questo”.