Papa Francesco e la sofferenza della guerra
“Ancora sono un po' raffreddato, per questo ho chiesto a mons. Ciampanelli di leggere la catechesi”. Con queste parole Papa Francesco ha cominciato l’udienza generale in Aula Paolo VI, dove è arrivato in carrozzina, invece che camminando con l’ausilio di un bastone, come avviene di solito nell’appuntamento del mercoledì. Prima dell’udienza generale, il Papa ha ricevuto i membri del Sinodo dei vescovi della Chiesa patriarcale di Cilicia degli Armeni, ma anche il testo preparato per l’occasione è stato letto da mons. Filippo Ciampanelli, della Segreteria di Stato. È la seconda volta che il Papa appare in pubblico, dopo la lieve sindrome influenzale che l’ha colpito nei giorni scorsi e per la quale, a partire da sabato, erano stati annullati in via precauzionale gli impegni in agenda, fatta eccezione per l’Angelus di domenica scorsa in piazza San Pietro. Dopo le parole iniziali, il Santo Padre ha ripreso la parola soltanto al termine dell’udienza – dedicata ai due vizi capitali dell’indivia e della vanagloria – per un ennesimo appello a non dimenticare “i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri”. “Preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro i luoghi di culto, come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate”, ha proseguito il Papa, che ha ricordato inoltre che il 1° marzo ricorre il 25° anniversario della Convenzione sull’interdizione delle mine anti-persone, “che continuano a colpire civili, innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità”. “Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire”, le parole del Papa, che ha ringraziato “tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essi operatori di cura dei nostri fratelli e sorelle”.
“L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro”, si legge nella catechesi, dedicata all’invidia e alla vanagloria, “due vizi" che "sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libero di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore”. “L’invidia è un male indagato non solo in ambito cristiano: essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura”, ricorda Francesco: “Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui. L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!”. “Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua matematica”, diversa dalla nostra, spiega il Papa: “Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi. Per questo San Paolo esorta i cristiani: ‘Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda’. Ecco il rimedio all’invidia!”.
“La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti”, l’altra fotografia di Francesco: "Il vanaglorioso possiede un io ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone, oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza”. “Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi”, osserva il Papa: “Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!”. Secondo Francesco, “l’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo”, che “fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere”: “Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: 'Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Da quel giorno Paolo fu liberato. E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: ‘Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo’”.
Foto SIR