Francesco in Colombia
“La Chiesa in Colombia è chiamata ad impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari”, come indicato anche nella Conferenza episcopale latinoamericana di Aparecida dieci anni fa. Quindi, i discepoli devono "andare all'essenziale", "rinnovarsi" e "coinvolgersi". Questo è l’invito dell’omelia di Papa Francesco alla Messa presso l’aeroporto Herrera di Medellín
“La Chiesa in Colombia è chiamata ad impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari”, come indicato anche nella Conferenza episcopale latinoamericana di Aparecida dieci anni fa. Quindi, i discepoli devono "andare all'essenziale", "rinnovarsi" e "coinvolgersi". Questo è l’invito dell’omelia di Papa Francesco alla Messa presso l’aeroporto Herrera di Medellín, la seconda città del Paese per numero di abitanti. E’ il principale centro industriale del Paese, simbolo per anni del narcotraffico, chiamata per il suo clima mite “la città dell’eterna primavera” anche se oggi il cielo era coperto dalle nubi. Proprio a causa del maltempo, per arrivare dall’aeroporto militare Catam di Rionegro, distante una ventina di chilometri, non è stato possibile prendere l’elicottero ma lo spostamento è avvenuto in auto.
Una folla immensa, circa 1 milione di persone, festosa, con grande calore, circonda il Papa durante il suo giro in automobile. In questa tappa del suo viaggio in Colombia dedicato al cammino di pace, Francesco sottolinea la centralità di discepoli missionari che sappiano vedere, giudicare e agire, richiamandosi non solo ad Aparecida ma anche al documento di Medellin del ’68. Discepoli missionari che esaminino la realtà con gli occhi di Gesù e da lì, la giudicano.
Per Francesco, quindi, è importante prima di tutto che il discepolo non si attacchi a certe pratiche che avvicinano più al modo fare di alcuni farisei di allora che a quello di Gesù: erano “paralizzati” da un’interpretazione rigorista della legge, sottolinea. Gesù invece non si ferma ad un’attuazione apparentemente corretta. Ma insegna che “la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme”. Il primo tratto che deve plasmare la vita del discepolo è, invece, quello di “andare all’essenziale”. Il discepolato, infatti, non può essere motivato “semplicemente da una consuetudine” , dal fatto che “abbiamo un certificato di Battesimo”, dice, ma deve partire da un’esperienza viva dell’amore di Dio. “Non è qualcosa di statico, ma un continuo movimento verso Cristo”, “un’apprendistato permanente per mezzo della sua Parola”.
Il secondo atteggiamento che bisogna plasmare nella vita dei discepoli è quello di “rinnovarsi”: anche la Chiesa “è sempre in rinnovamento”, prosegue, e questo richiede sacrificio e coraggio per rispondere meglio alla chiamata del Signore. L’invito del Signore, è, infatti, quello di “ponderare le norme” quando è in gioco “il seguire Lui”, quando “le sue piaghe aperte, il suo grido di fame e sete di giustizia”, “ci impongono risposte nuove”. “E in Colombia ci sono tante situazioni che chiedono ai discepoli lo stile di vita di Gesù – sottolinea Papa Francesco - particolarmente l’amore tradotto in atti di nonviolenza, di riconciliazione e di pace”.
Per essere discepoli di Gesù bisogna , poi, “coinvolgersi”, anche se “per qualcuno questo può sembrare sporcarsi”. “Oggi a noi è chiesto di crescere in audacia”, “in un coraggio evangelico” che nasce dal sapere che sono molti quelli che hanno fame di Dio, “fame di dignità” perché sono stati spogliati. “E mi chiedo – dice il Papa - se la fame di Dio in tanta gente forse non avvenga perché con il nostro atteggiamento noi li abbiamo spogliati”. Come cristiani, dobbiamo, quindi, aiutarli a saziarsi di Dio, non ostacolare questo incontro: “la Chiesa non è una dogana” ma “vuole le porte aperte, perché il cuore del suo Dio non solo è aperto, ma è trafitto dall’amore che si è fatto dolore”. Per questo non bisogna essere “cristiani che alzano continuamente il cartello ‘proibito il passaggio’” né considerare questo spazio di “mia proprietà”.
La Chiesa, invece, "non è nostra, è di Dio” e “per tutti c’è posto”. Noi siamo semplici servitori. Lo aveva capito bene San Pietro Claver, il gesuita spagnolo che dedicò la sua vita agli schiavi neri deportati a Cartagena. Oggi lo ricorda la Liturgia e domani il Papa lo venererà proprio nella città colombiana dove lui si adoperò per i più oltraggiati del suo tempo: “schiavo dei neri per sempre”, fu, infatti, il motto della sua vita.
“Sono venuto fin qui proprio per confermarvi nella fede e nella speranza del Vangelo”, conclude Papa Francesco di fronte alla folla sterminata che occupa l’aerea dell’aeroporto. Portare a tutti “la luce e la gioia del Vangelo”: è il mandato che il Papa gli affida, con l’accompagnamento nel cammino della Vergine Maria, rappresentata nella celebrazione dal dipinto della Madonna de la Candelaria.