Voglio farmi frate
Mattia ha trentacinque anni. È in cerca da una vita di serenità, benessere, pace con se stesso. Ha cercato sollievo in sostanze; ne è diventato dipendente; è riuscito ad uscirne. Ha cominciato a vagare in cerca di esperienze spirituali forti. Ha quindi provato a vivere in varie comunità di consacrati. Partiva con entusiasmo a mille, convinto che lì era il posto adatto a lui, che quella era davvero
Mattia ha trentacinque anni. È in cerca da una vita di serenità, benessere, pace con se stesso. Ha cercato sollievo in sostanze; ne è diventato dipendente; è riuscito ad uscirne. Ha cominciato a vagare in cerca di esperienze spirituali forti. Ha quindi provato a vivere in varie comunità di consacrati. Partiva con entusiasmo a mille, convinto che lì era il posto adatto a lui, che quella era davvero la strada giusta, che lì avrebbe trovato ciò che cercava, finalmente la serenità. Lasciava il lavoro e partiva per questa esperienza estrema. Poi immancabilmente, dopo qualche mese, abbandonava, quasi all’improvviso, sembrava letteralmente scappare. Faceva la valigia, senza dare molte spiegazioni, se non: “Non posso stare qui, non ce la faccio: sono umano!”. Il dire a sé e agli altri la frase ricorrente “Sono umano” era per lui la giustificazione per non tollerare disagi, problemi, limiti che quella situazione comportava. Era l’alibi per non sentirsi in colpa. Come se l’essere umano potesse giustificare l’evitare di superarsi, di combattere i propri limiti e fragilità, di reggere fatiche, di prendersi responsabilità. E con questa giustificazione, che diventava alibi, bel bello se ne andava. Ma questo alibi era diventato anche la sua gabbia dorata che lo imprigionava in un eterno copione: quello della fuga.
Mattia continuava a fuggire, a evitare di imparare a stare dentro, dentro la situazione, dentro se stesso. Non si prendeva in mano, ma continuava a credere che la soluzione al suo malessere potesse trovarla all’esterno di sé, in una qualche situazione idilliaca. Ma ogni fuga, ogni abbandono aveva il significato di un fallimento,. Ed ogni volta si sentiva peggio di prima: deluso e con sempre meno speranze di farcela. “Porto addosso le ferite di tutte le battaglie che ho evitato”, ha scritto Fernando Pessoa. Questo è Mattia. Se Mattia non fuggisse, ma rimanesse nella situazione, nell’esperienza che sta vivendo, senza imboccare la via di fuga e ritornare ogni volta indietro, a casa con la sua famiglia, nella sua tana, Mattia farebbe il passo fondamentale, decisivo, determinante per evolvere. Sarebbe costretto a sviluppare abilità, ad estrapolare da se stesso risorse per diventare adulto; essere adulti significa anche non essere sopraffatti dalle situazioni, ma avere capacità di adattamento. Forse la situazione che sta vivendo non può davvero essere quella adatta a lui, che gli può dare cioè quel benessere che sta cercando, ma se deciderà di andarsene, non deve farlo come fuga, ma come scelta ponderata.