di ILARIO BERTOLETTI
24 apr 2015 00:00
Vestire gli ignudi...
La terza opera di Misericordia corporale commentata da Ilario Bertoletti
Se misericordia (éleos) , come ricordava Bultmann, è il “sentimento della commozione che suscita la vista di un qualche male che ha colpito altre persone (senza loro colpa)”, v’è da chiedersi se l’ignudo da soccorrere non sia divenuto ciò che il cuore colpito dalla sklerocardia (indurimento) non riesce più nemmeno a percepire. V’è come una dialettica impietosa: l’opera di misericordia scaturisce sì dal bisogno di un altro, ma a condizione che vi sia un cuore – una psyche, un’anima – che lo sappia ascoltare. Anche di questo parlano gli ignudi inabissati nel Mediterraneo: la loro nuda vita, privata anche di una degna sepoltura, ricorda quel che l’europeo medio è ormai diventato – e i politici ne sono lo speculare riflesso. Impietriti da una skelorocardia, speculare alla philopsychia (l’amore di sé) che è la malattia profonda del nostro tempo: incapaci di uscire da sé, e accogliere l’altro. Il povero, la vedova, l’orfano. Le misere giustificazioni (i migranti sono troppi, non si integrano etc etc etc) sono l’ideologia – la falsa coscienza – del cuore impietrito.
Misericordia – lo rammentava un altro grande teologo, Karl Rahner – è innanzitutto il gesto dell’essere materno che si china sul proprio figlio, sul proprio fratello. Sono alcuni degli aggettivi antico testamentari per designare l’azione di Dio. Un gesto che ha il suo primo atto nel coprire, accudire, colui che nasce: l’originaria opera di misericordia. Ogni morto nel Mediterraneo rammenta quanto non solo i “dei mortali” (gli Stati) sono incapaci di conservare la vita, ma anche quanto ognuno di noi porta su di sé, fosse anche per impotenza, la colpa di quanto accade.
ILARIO BERTOLETTI
24 apr 2015 00:00