Vendesi chiese, case e conventi
I beni della Chiesa fanno sempre discutere. Basta ci sia una casa in parrocchia da comprare o da vendere e subito la discussione si anima. Se poi i giornali scrivono che la diocesi o le congregazioni vendono terreni, alberghi, scuole o conventi la lettura “politica” è già confezionata e si urla all’arretramento del “potere temporale” della ricca tradizione cattolica bresciana
I beni della Chiesa fanno sempre discutere. Basta ci sia una casa in parrocchia da comprare o da vendere e subito la discussione si anima. Se poi i giornali scrivono che la diocesi o le congregazioni vendono terreni, alberghi, scuole o conventi la lettura “politica” è già confezionata e si urla all’arretramento del “potere temporale” della ricca tradizione cattolica bresciana. Quando invece le parrocchie investono in oratori, sale della comunità o campi sportivi c’è chi da un lato osanna l’impegno delle comunità e chi reclama per una Chiesa più povera e libera dai beni. Ma se in vendita c’è una chiesa, che succede? In un recente censimento della Curia è riportato che in diocesi di Brescia ci sono 1430 edifici di culto a carico di parrocchie ed enti ecclesiatici di riferimento al Vescovo. Un bel patrimonio soprattutto di fede, ma anche di storia e di arte. Quasi tutti beni soppoposti all’interesse della Sovrintendenza ai beni artistici e culturali, naturalmente, e molto spesso bisognosi di interventi di restauro. Basta guardare l’annuario per comprenderne il carico. A Chiari, ad esempio, ci sono più o meno 36 chiese e alla parrocchia centrale di Nave (5323 ab.) ne afferiscono più o meno una quindicina.
È possibile immaginare oggi e soprattutto in futuro che tutti questi templi restino aperti, adeguati, in funzione laddove calano i cristiani e le disponibilità economiche? Dubito. Facilmente assisteremo nei prossimi anni a una serie di vendite dolorose quanto inevitabili. Le parrocchie, d’altro canto, sono spesso lasciate sole a gestire questo immenso patrimonio. Anche la politica latita. Che dire di chi vorrebbe fare della cultura l’eccellenza italiana, ma non risponde in maniera sufficiente al mantenimento e alla valorizzazione di questi beni? Abbiamo troppe cose. Questo è certo. E abbiamo l’esigenza come Chiesa, come diceva il mio vecchio parroco, che i nostri beni siano finalizzati a servire la pastorale e la carità. E il resto? Servirà una strategia per capire cosa è necessario e cosa non lo è più per l’azione ecclesiale.
Non è stupido, però, considerare che alcuni nostri beni possano servire, in maniera intelligente, a fornire un minimo di reddito per aiutare quella “provvidenza” che certo non possiamo evitare d’invocare continuamente quando mettiamo mano a ristrutturazioni di ambienti necessari alla comunità cristiana. Qualcuno si scandalizza, ad esempio, che in qualche diocesi si paghi l’ingresso per visitare qualche chiesa di particolare pregio. C’è anche chi si scandalizza quando qualche parrocchia o qualche diocesi dichiarano fallimento. Allora, è meglio avere la botte piena o la moglie ubriaca? C’è da considerare che tanti ancora amano la Chiesa e hanno fiducia nel suo agire. Ancora oggi non pochi lasciano in eredità alla propria parrocchia, al Seminario, alla diocesi, alle missioni somme di denaro o parte dei propri beni. Per questo allora serve oggi più che mai lungimiranza, buon senso e un minimo di strategia da parte di chi amministra le cose della Chiesa, prete o laico, insieme a un minimo di controllo in più.