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Brescia
di LUCIANO COSTA 19 giu 2024 15:33

Vender modello di rettitudine

L’idea era quella di ritrovarsi appena dopo i giorni di riposo che avrebbe passato a Ceratello (villaggio sospeso tra il lago e la montagna dominante Lovere, il suo paese natale) “per mettere in chiaro - aveva sottolineato don Giacomo - che fatta la chiesa e averla dedicata al Santo Spirito si devono fare i cristiani disposti a viverla e ad amarla questa chiesa!”. Cosa volesse dire quel “fare formare preparare i cristiani a essere chiesa” don Giacomo non ebbe però tempo e modo per spiegarlo. Sorella morte, infatti, lo rincorse e lo chiamò al grande incontro col Cielo all’alba del 28 giugno 1974, senza neppure concedere ai tanti che “perché prete di Dio” aveva amato e servito, il tempo per un saluto, un abbraccio e un grazie per tutto il bene che aveva seminato e distribuito nella sua purtroppo troppo breve vita. Don Giacomo allora aveva infatti appena 65 anni e forse ne sperava ancora alcuni, necessari per consentirgli di regalare mondi pacifici e nuovi a chiunque fosse divenuto suo compagno di viaggio e per dare alla “sua gente”, quella che dopo essere stata sfrattata aveva trasformato in parrocchia-comunità, la  certezza di essere protagonista del suo futuro.

Che cosa intendesse dire con quel “fare cristiani pronti a essere chiesa e a vivere la chiesa” don Giacomo non ebbe tempo e modo di spiegarlo. Però, su un foglio sparso, uno di quelli che lui volentieri consegnava agli amici, lo aveva abbozzato sottolineando che “primo impegno del prete e parroco che vuole far crescere cristiani disposti a essere chiesa comunità di fratelli è quello di essere insieme al popolo restando forte nella fede, pronto ad annunciare il Vangelo, sempre disposto a benedire assolvere amare condividere consigliare piangere e ridere e poi ogni volta a ricominciare abbracciando gli ultimi arrivati, forse ancora esclusi ma già disposti a vivere nella comunità”. Per fare questo, annotava a margine del foglietto, “non bastano le buone intenzioni, servono semmai mani braccia cuori e menti disposti a disfarsi (così era scritto) per gli altri, sconosciuti ma fratelli. E io prete, e noi preti - concludeva - non dovremo mai stare a guardare, magari consolati dal numero di cristiani presenti tra i banchi pur sapendo che altrettanti e forse molti di più sono ancora lontani, ancora incapaci di essere chiesa-comunità”.

Per raccontare don Giacomo alla folla accorsa al suo funerale, l’allora vescovo Luigi Morstabilini, dopo aver sottolineato che era stato “Sacerdote, Cappellano militare, Ribelle per amore, Prete degli sfrattati, Parroco e Cittadino esemplare”, lo presentò come “modello di rettitudine piena, che non ha mai piegato di fronte a chiunque ed in qualunque evenienza; modello d'una fede robusta; modello d'una pietà che permeava tutto il suo essere prete;  modello d'intrepido coraggio e di apostolica franchezza; modello di sconfinata bontà e carità…”. Ricordare don Giacomo a distanza di settant’anni anni significa allora farsi carico di quei modelli, ma non solo per elogiare chi come lui li ha interpretati e vissuti, bensì per riproporli e renderli ogni giorno parte dell’essere chiesa comunità. Per ricordarlo adesso, basta dirfe che è stato “prete di tutti”.

LUCIANO COSTA 19 giu 2024 15:33