Vale davvero la caccia?
Quanto vale la caccia? È questa la domanda a cui ha risposto una ricerca promossa da Federcaccia e curata dalla “società di consulenza strategica e aziendale” Nomisma che è stata presentata in pompa magna al Senato lo scorso 14 marzo. “Il mondo venatorio è in grado di generare un valore complessivo di circa 8,5 miliardi di euro annui in termini economici e ambientali, di cui circa un miliardo derivante dalla valorizzazione ambientale della caccia” si legge nel comunicato stampa. Dentro c’è di tutto: se la parte principale è attribuita al “valore economico derivante dalla domanda di prodotti e servizi per l’attività venatoria” (5,8 miliardi di euro) è invece molto minore il “valore di autoconsumo della selvaggina” (41 milioni). E sarebbe di 1,7 miliardi il “valore economico derivante dal settore armiero”.
Stupisce, e non poco, vedere contabilizzati alcuni elementi come il “danno evitato per minori ospedalizzazioni per consumo di carni con antibiotici” (84 milioni) e il “danno evitato per minori incidenti con specie selvatiche” (40 milioni). Mentre, a parte i “risarcimenti agli agricoltori e spese di prevenzione danni da parte degli Ambiti Territoriali di Caccia” (20 milioni), niente viene invece detto riguardo agli “incidenti” durante la caccia e al conseguente danno dell’attività venatoria sulle vittime e sulle loro famiglie: le stime più prudenziali diffuse dall’Associazione vittime della caccia riportano per il 2023 tredici morti, tutti cacciatori, e 53 feriti, di cui 10 non cacciatori, in ambito strettamente venatorio. Ma c’è un altro aspetto che la ricerca non considera: gli omicidi commessi con armi detenute con licenza “per uso caccia”. E non sono pochi.
Nei giorni scorsi uno stimato medico ex primario di urologia all’ospedale di Teramo ha sterminato la propria famiglia (la moglie e due figli di cui uno gravemente malato) per poi suicidarsi: ha usato una pistola regolamentate detenuta con licenza per uso caccia. Ieri si è scoperto che la giovane mamma marocchina, Rkia Hannaoui, di Adriano Polesine è stata uccisa dal figlio di otto anni con un’arma legalmente detenuta con licenza di caccia dal vicino di casa: arma che il bambino ha preso dal capanno in cui il vicino teneva anche quattro fucili da caccia. Stimare il “valore della caccia” senza considerare l’impatto che l’attività venatoria causa non solo sull’ambiente ma sulle persone che ne sono vittima – e che sono uccise con armi regolarmente detenute per la caccia – è una chiara operazione ideologica. Se si vuole davvero calcolare il valore della caccia, le vittime non possono essere oscurate o, peggio, considerate un mero effetto collaterale.