di ADRIANO BIANCHI
24 lug 2015 00:00
Unioni civili. Siamo davvero così indietro?
Mentre in Parlamento e nel Paese è aperta una grande discussione sul tema delle unioni civili, comprese quelle omosessuali, arriva la condanna all'Italia da parte della Corte dei diritti umani di Strasburgo. Leggi l'editoriale del numero 29 di Voce di don Adriano Bianchi
L’Italia potrà decidere il ricorso entro tre mesi o ad adeguarsi e giungere in breve, come peraltro annunciato dal Governo, all’approvazione di una norma legislativa. Come sappiamo la sentenza europea cade nel momento in cui è aperta in Parlamento e nel Paese una grande discussione sul tema delle unioni civili, comprese quelle omosessuali, come peraltro si discute sul tema dell’ideologia gender. Prova ne sono il disegno di legge Cirinnà (in cerca di copertura economica), la manifestazione di Roma “Difendiamo i nostri figli”, le schermaglie e il dibattito anche a Brescia sull’istituzione del registro delle coppie di fatto in Comune, i molteplici autorevoli interventi pubblici, le manifestazioni locali oltre alle inevitabili polemiche.
Ora ci prova la giurisprudenza europea. Dice all’Italia che non è al passo con i tempi e non rispetta i diritti umani. Accusa grave per un Paese che si vanta di essere la culla della civiltà. Il problema, come sappiamo, è complesso e articolato su vari livelli. Anzitutto mette in campo il tema del rapporto tra potere giuridico e legislativo. Non solo su questo tema, ma pensiamo in Italia a ciò che è accaduto in merito alla legge elettorale, la pressione della giurisprudenza sulla politica è sempre più rilevante. Strapotere dei giudici o immobilismo della politica nell’affrontare i temi emergenti? Probabilmente entrambi i casi. Una politica che non prende di petto i problemi e le sfide che la società pone declina il suo ruolo d’indirizzo e apre varchi a chi a suon di sentenze pretende di dettare legge. Sarà anche questa volta il caso di lasciarsi soggiogare dai giudici o i politici troveranno una giusta e rispettosa mediazione?
Il secondo livello sta nello specifico tema a cui si riferisce la sentenza e che mette inevitabilmente in discussione una certa idea di uomo, di donna e lo stile e le modalità dei loro rapporti anche dentro il contesto sociale pubblico e non solo privato. Quando si toccano questi temi, e ancor più per quelli sull’inizio e la fine della vita, il pragmatismo politico è tentato di giungere a quella sorta di compromesso che dimentica il riferimento etico per appiattirsi sulla tanto meglio, tanto peggio. Forse è giunto il tempo di fare una certa sintesi, ma a chi tocca sarà bene ricordare che questo non sarà esente da un prezzo in termini umani, sociali, oltre che etici, e soprattutto educativi verso le nuove generazioni.
Infine una sentenza di questo tipo, e per il prestigio della Corte che l’ha espressa, non può che riportare al centro il dibattito su quali siano oggi i diritti umani e sul loro processo di definizione e individuazione. Di per sé nulla di nuovo: ciò che oggi è riconosciuto come un diritto pacifico, forse cento anni fa non lo era, ma come si giunge a questo risultato? Vale sempre? Lo sarà anche per questa materia? Chi lo decide? Una Corte, il sentire comune, la legge naturale? Che la società dei diritti evolva sempre verso il meglio non è scontato né assicurato dal fatto che se crescono i diritti allora la società è migliore (soprattutto se invece la riflessione sui doveri resta bloccata). Il ruolo della Chiesa in ogni caso in questa partita non sarà mai di secondo piano, nel bene e nel male. Lo dobbiamo al Vangelo. Noi non saremo giudici. Forse la storia, di certo il Padre eterno.
ADRIANO BIANCHI
24 lug 2015 00:00