Una vita schierata
Quando della tua vita di fede nulla trapela, la tua preghiera è affare tra te e Dio, le conversazioni spirituali con chi ti guida sono e restano a porte chiuse e di te solo si sa che professi la fede cattolica senza farne mistero, ma senza esibirla, cosa resta di pubblico che possa testimoniare l’autenticità del tuo credo? La vita. Le opere, compiute con rettitudine, coerenza, coraggio e fedeltà. Stiamo parlando di Tina Anselmi (1927-2016), ma sarebbe bello che si potesse dire altrettanto di noi. Una vita piena la sua, iniziata nella campagna veneta di Castelfranco, respirando la fede della mamma e l’impegno sociale del papà. Presto la vita la espone alla crudeltà della violenza e all’orrore della guerra: a soli 17 anni è costretta ad assistere, con le sue compagne di classe, all’impiccagione di 31 giovani, arrestati dopo un rastrellamento. Tra questi, il fratello della sua compagna di banco. “Da molto tempo avevo già stabilito da quale parte stare, e quel giorno decisi di entrare nella Resistenza”, scrive.
E aggiunge: “Non potevo voltare lo sguardo dall’altra parte, quando i nazifascisti occupavano la mia terra e portavano morte e distruzione”. Da quel momento la sua vita è schierata. Dapprima staffetta partigiana, poi sindacalista a difesa delle donne filandiere dalle mani “lessate” e infine, quasi l’esito naturale delle sue scelte (“C’era bisogno di agire, di affrontare i problemi, di risolverli. Mi chiesero di dare una mano e io lo feci”) l’impegno a tempo pieno in politica, “la forma più alta di carità”, come ebbe a definirla Paolo VI. Eletta alla Camera, si impegna in molti progetti di legge, fino a diventare la prima donna ministro nella storia della Repubblica italiana, con tutto ciò che di responsabilità ne consegue. Scrive: “Ci sono dei momenti nella vita politica in cui la nostra coscienza, sia di credenti sia di non credenti, ha molto da fare. Il referendum sul divorzio del 1974 fu per me uno di quei momenti in cui la coscienza mi diede molto da fare: ero parlamentare di un partito, la Dc, schierato per il No al divorzio ed ero una donna. E questa mia specificità aveva un peso”. Stesso coinvolgimento della coscienza per quanto riguarda l’aborto, la salute, l’inchiesta sulla P2. E decisioni mai prese a cuor leggero, tutte soppesate, vagliate, confrontate e infine serenamente compiute, con quella “grazia della normalità” con cui qualcuno ha felicemente definito la sua vita: “Aveva la bellezza di una donna che pensa, la bellezza di una donna che sa prendere le decisioni, la bellezza di una donna che ha un mondo interiore”. Una fede discreta vissuta con la semplice grazia della normalità.