Una vita piena
In tempi difficili come questi, ci aiuta contemplare la discesa del nostro Dio dall’alto dei Cieli fin quaggiù, sulla terra, su questa nostra terra, bella, ma anche troppo spesso ferita e insanguinata, così come la vediamo da vicino in questi giorni. L’Ucraina che oggi è sotto i nostri occhi non è troppo diversa dalla terra del Golgota, quando il grido della morte di Dio spense la luce sulla vita di donne, uomini, animali, uccelli, mari, fiumi, monti, foreste, deserti e città.
Oso azzardare che si sia trattato di un blackout generale che ha permesso a Dio di reinventarsi a partire dall’assurdo della Sua stessa morte, per poter continuare a svolgere il suo “mestiere” di Salvatore, percorrendo la strada, già sperimentata, della discesa, della prossimità, dell’incarnazione fino alla fine. Sulla terra non c’era posto per Lui. L’abbiamo ammazzato noi, suoi fratelli e sorelle, italiani, russi, africani, ucraini, americani, cinesi… E Lui decide di continuare a scendere, non solo sulla terra, ma sottoterra, dove trova altri figli, fratelli e sorelle che, esalando l’ultimo respiro, non sono soli, non più.
C’è Qualcuno che è sceso fin lì per salvarli, per salvarci dalla paura più grande, quella della morte. In Quaresima, contemplare l’incessante discesa di Dio ci dà la possibilità di familiarizzare con il concetto opposto di “ascesi”, provando a scrivere vita piena con le sue espressioni più note, quali preghiera, elemosina e digiuno, nella logica dell’Incarnazione. Preghiera. Colui che è sceso fino ad abitare il mio cuore mi parla dentro con parole mute che possono orientare la mia vita al bello, al bene, al buono, quando incontrano, nel silenzio dell’intimità, una Parola che le feconda, la sola capace di farmi vivere e vivere bene.
Elemosina. Colui che è sceso passò su questa terra beneficando (At 10,38). In me sono Sue le mani che donano, Suoi i piedi che corrono incontro a chi fugge, Suoi gli occhi che non vedono che il bene, Sue le braccia che condividono pesi, Sua la voce che consola, Suo il corpo che ama. Digiuno. Colui che è sceso conosce la fragilità di un corpo, come il mio, che ha bisogno di cibo per vivere e sa perfettamente che il cibo, come il vestito e tutti gli altri beni, rischiano di saziarmi e far tacere quella fame di Lui che porto scritta in ogni mia cellula: “Gli invitati a nozze, finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno” (Mc 2, 19-20). Digiuno perché ho fame di Dio e questa fame voglio sentirla. E così, contemplando la discesa di Dio, mi accorgo che l’ascesi è la strada che posso percorrere per incontrarlo… a metà strada, nel Suo/mio corpo.