Una sentenza che impoverisce tutti
A proposito di suicidio assistito, la sentenza della Corte costituzionale impoverisce tutti. La società e il diritto si reggono sulla promozione della vita ricevuta e non negata
La sentenza della Corte Costituzionale era prevista. I radicali esultano e tacciono il fatto che la la Consulta ponga condizioni. Appare anche l’invito rivolto al legislatore di legiferare in materia. Osservo che la coscienza umana non si può depenalizzare, qualora ci si trovi dinanzi ad un suicidio è tanto grave chiederlo che renderlo possibile. Nessuna struttura pubblica ha l’obbligo di assecondare un tale desiderio, più o meno libero o indotto. In questo caso specifico lo stato depenalizza ma non può partecipare al suicidio assistito che diventa di fatto eutanasia. Fa parte anche della coscienza illuminata il rifiuto dell’accanimento terapeutico, ma la polemica e il desiderio di eutanasia, tolgono la giusta serenità per affrontare il tema. Accanimento terapeutico vuol dire mantenere in vita a tutti i costi ledendo l’arbitrio dell’individuo.
Materia ‘normale’ e quotidiana che paradossalmente la strumentazione scientifica ha dilatato; nessuno, ci insegni a vivere o a morire, tutti sanno come si vive e come si muore, siamo una civiltà e non un orda abbandonata al soggettivismo. Si chiama discernimento questa capacità di agire moralmente, e cioè la comprensione sia del modo che del momento di intervenire per il bene dell’individuo che soffre e per il bene della collettività. Questa sentenza impoverisce tutti. La società e il diritto si reggono sulla promozione della vita ricevuta e non negata. La legge sull’aborto, con il pretesto della clandestinità, di fatto è stata disattesa nelle norme che erano destinate ad educare al valore della vita. Per esempio aiutare le donne a non abortire. Lo stesso dicasi della mentalità che vuole depenalizzare la droga. In Canada, in Nuova Zelanda e nei Paesi dove l’eutanasia è legalizzata, in media negli ospedali gli anziani ricevono cure meno adeguate e muoiono prima del dovuto. Società prospere sono erose alla radice dall’istinto di morte, in mancanza di una vera e propria guerra non ci lasciamo mancare niente. Ci interessa dunque la questione morale fondamentale e non la questione penale. Sebbene la legge, quando proibisce, o punisce, contenga una idea, che solo una pedagogia collettiva e convergente può sostituire. Il discrimine ultimo è l’ateismo che oscura radicalmente il senso dell’esistenza e rende insopportabile il dolore e la malattia estrema. La questione ci riguarda tutti. Naturalmente non possiamo e non vogliamo obbligare a credere e a tirarne le conseguenze, nel dolore ogni uomo di buon senso e di fede ritrova valori superiori, valori che l’ateismo decapita violentemente.
Nessuno vuole condanne per nessuno, ricordiamo a tutti ancora che la coscienza non si depenalizza, che ci si può certamente suicidare o desiderarlo, ma nessuno è autorizzato a farlo e nessuno può sostenere un atto simile. L’ateismo voluto e consapevole è il peggiore dei mali.