Una Repubblica fondata sul lavoro... digitale
Molti non si sono ancora accorti di quanto l’elettronica stia cambiando le nostre relazioni, i nostri desideri, le nostre vite e di come le cambierà sempre più.
Alcune cose neppure esistevano anche solo a una ventina d’anni fa (cioè nel 2000, non al tempo dei fax...). Ecco un elenco di attuali oggetti quotidiani (con data di nascita): Tripadvisor (2000), Wikipedia (2001), Linkedin (2002), Skype (2003), Facebook (2004), Youtube (2005), Spotify e Twitter (2006), iPhone e Kindle (2007), Airbnb (2008), Uber e WhatsApp (2009), Instagram (2010), Zoom (2011). Impressionante, no? Quando si rileggerà la storia del mondo si dovrà dare un nome agli anni che vanno da metà anni Novanta (Yahoo nasce nel 1994 e Google nel 1998) al dopo-pandemia (che ha accelerato la nostra confidenza con l’elettronica). Durante il lockdown molte persone hanno conversato grazie a Zoom, visto i film su Netflix, informatosi con i giornali online. Il punto è che sta mutando il nostro rapporto con la realtà, il modo di pensare.
Almeno tre sono gli scenari da prendere in esame: il lavoro, la democrazia e la spiritualità. Iniziamo dal lavoro. In realtà ci sarebbe molto da dire, anche solo elencando alcune parole-chiave: robot, Industria 4.0, commercio elettronico (Amazon, 1994), smartworking, cloud, fatturazione elettronica, DAD... Il lavoro sta mutando pelle, l’immateriale prevale sul materiale. Che ne sarà di alcune tutele sindacali? Della vita in azienda e delle nostre relazioni? Quali profili professionali saranno necessari? Alcune professioni e mestieri non ci saranno più, altri ne nasceranno e altri ancora dovranno cambiare. Secondo una ricerca americana praticamente la metà delle professioni dovrà fare un largo uso dell’elettronica: sarà così? Per ora nessuno ancora lo sa. Però praticamente tutti concordano su quali saranno le competenze necessarie per il futuro: le competenze cognitive (es. il problem solving, la creatività), le competenze sociali (saper lavorare in gruppo, coi clienti), le competenze digitali (appunto) e quelle tecniche della professione in sé.
La domanda è: chi le insegnerà e come? Anche perché un conto sono gli adolescenti e i giovani e un conto gli adulti. Ecco dunque il valore della formazione continua. Ne servirà tanta e saranno utili molti soggetti sociali: come negli anni Cinquanta l’Italia fece una grande opera di alfabetizzazione, ora – la storia si ripete – servirà una grande opera di alfabetizzazione digitale. Servono scuole popolari, scuole per tener dentro anche i lavoratori più fragili.