Una politica umana
Una politica umana. È la fotografia dell’azione di Giulio Onofri (1930-2000), la cui figura è stata tratteggiata da più personalità nel volume, edito da Scholè e curato da Ennio Pasinetti e Franco Franzoni, che conclude il trittico iniziato con le biografie di Piero Padula e Vittorio Sora. In un tempo in cui tutto scivola via velocemente è fondamentale fare memoria di un uomo generoso, di un custode della storia come ha chiosato Tino Bino nella prefazione: “Degli uomini di intelligenza che hanno animato la scena politica e culturale bresciana, Giulio è stato più di tutti l’uomo della città, la sua immagine e la sua identità”.
È un testimone privilegiato di un periodo che non nasconde difficoltà sociali ed economiche. Appassionato delle canzoni francesi di Edith Piaf, appartiene alla corrente della Democrazia Cristiana di base, al gruppo degli avvocati (Luigi Bazoli, Ciso Gitti, Piero Padula, Mino Martinazzoli…). Nel libro, che sarà presentato il 23 ottobre alle 18 a Palazzo Martinengo delle Palle, Paolo Corsini lo definisce “amministratore integerrimo” e “avvocato di solida e puntigliosa competenza”. Un professionista (non della politica) che con il suo agire, non in prima linea ma spesso dietro le quinte, sa praticare l’arte della lungimiranza e combatte le ingiustizie e le disuguaglianze. Se gli Spedali Civili sono riconosciuti per le prestazioni di qualità, lo si deve anche a quanto realizzato nel decennio della presidenza Onofri. Se Brescia può contare su una facoltà di medicina di ottimo livello, lo si deve all’integrazione con l’ospedale realizzata proprio in quella stagione. Tra le sue qualità spiccava l’umiltà: non aveva bisogno di vantarsi dei suoi successi. Onofri amava e sapeva riconoscere i maestri.
La sua formazione culturale e spirituale germoglia tra i Gesuiti all’Istituto Cesare Arici e tra i Padri Filippini dell’Oratorio della Pace e si fortifica con l’esperienza come Presidente Diocesano della Gioventù dell’Azione Cattolica, in un’associazione temprata dalla Resistenza. Lui stesso diviene un maestro autorevole. È soprattutto un uomo buono che non ricorre ai toni alti. Nella sua esperienza trova uno spazio significativo il fuoco della fede che, come ha scritto, “comporta prioritariamente lo sforzo di vivere, ogni giorno, in un modo nuovo, la fatica di ricominciare a credere, di sperare, di amare, in una continua lotta con l’assolutamente Altro, il ‘Dio nascosto’, lotta che, prima di una qualsiasi adesione e di un credo in una rivelata verità sovrannaturale – altrimenti irraggiungibile –, si sostanzia necessariamente in una inderogabile e aspra esperienza etica: la individuale ascesi attraverso una successione di libere scelte indirizzate al bene”. Ci ha lasciato, per utilizzare le parole di Corsini, “l’onere di un’eredità, l’impegno di non dissipare le conquiste delle generazioni che ci hanno preceduto, i progressi in termini di libertà, democrazia e giustizia, che anche la sua vita ha contribuito a promuovere”.