Una politica per l'infanzia
Una politica italiana per l’infanzia in linea con i migliori standard europei. A che punto siamo? Leggi il commento dell'eurodeputato Luigi Morgano
Recentemente la Caritas Italiana ha pubblicato il suo annuale Rapporto su povertà e politiche per contrastarla dal titolo "Povertà in attesa". I dati che emergono descrivono una realtà che – nonostante i primi buoni risultati conseguiti con l’introduzione del Reddito di Inclusione – rimane complessa. Nel 2017 – in Italia – erano circa 1 milione e 778 mila le famiglie residenti e 5 milioni e 58 mila le persone che vivono in condizione di povertà assoluta. In termini percentuali, l’indice si attesta al 10,5% tra le famiglie in cui è presente almeno un figlio minore, e molto maggiore tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). In termini assoluti, circa un milione e duecento mila minori italiani vivono senza disporre di beni e servizi, necessari per un livello di vita accettabile nel contesto di appartenenza.
L’incidenza significativa della povertà sulle giovani generazioni e sulle famiglie con figli segnala un problema assolutamente allarmante e che rischia di minare il futuro stesso del sistema Paese. Un problema che affonda le radici nella mancanza di una strategia complessiva per l’infanzia e per la famiglia, che emerge immediatamente se confrontiamo la spesa sociale a sostegno delle famiglie dell’Italia con quella degli altri Paesi dell’UE. Infatti, mentre in Italia vengono spesi, per famiglia e minori, circa 469 euro pro capite; in Francia, la spesa è doppia, circa 814 euro; in Germania sale a 1.178 euro. In confronto con gli altri Paesi dell’UE, che investono in media circa il 2.4% del proprio PIL, l’Italia si attesta all’1.7%.
Ancora, per quanto riguarda la distribuzione delle risorse destinate a politiche per l’infanzia e la famiglia, l’Italia, a differenza degli altri Paesi, si basa prevalentemente su trasferimenti monetari, piuttosto che investire in servizi e prestazioni. Se guardiamo, le percentuali di accesso ai servizi educativi formali per la prima infanzia (0-3 anni), l’Italia è al 19esimo posto per la spesa pubblica, dopo la Lettonia e prima dell’Ungheria. Scorporando il dato, emerge inoltre il divario territoriale nell’accesso ai servizi: Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta sono tra le regioni più virtuose; Sardegna, Sicilia e Calabria tra le più problematiche. Non solo, il dato di accesso ai servizi fa emergere anche un divario sulla base del contesto famigliare di appartenenza, con i figli delle madri con livelli di istruzione alti che hanno il doppio di probabilità di frequentare servizi educativi per la prima infanzia rispetto a contesti con bassa istruzione. In questo quadro, ovviamente anche i costi a carico delle famiglie costituiscono una delle principali ragioni per il mancato accesso.
L’Unione Europea, da tempo, segnala all’Italia la necessità di rivedere la propria spesa pubblica a favore delle famiglie e dei minori. Nelle raccomandazioni inviate al Governo a luglio di quest’anno, l’Unione ha chiesto di “incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia globale, razionalizzando le politiche di sostegno alle famiglie ed estendendo la copertura delle strutture di assistenza all’infanzia”. In particolare, il Governo italiano è stato sollecitato ad adottare una strategia per conciliare vita familiare e vita professionale, attraverso l’introduzione di una riforma strutturale dei congedi di paternità, l’introduzione di modalità di lavoro flessibili e investimenti adeguati in servizi che rispondano alle esigenze delle famiglie e che siano economicamente accessibili e di qualità.
Per incentivare l’Italia a orientare la propria spesa sociale per le famiglie e il sostegno all’infanzia, l’Unione non si limita alle raccomandazioni, ma mette a disposizione, attraverso il Fondo Sociale Europeo, risorse per il co-finanziamento dei piani operativi regionali. Sta poi alle regioni decidere come allocare queste risorse. Invero, non mancano esempi di buone pratiche. Tuttavia, non c’è un coordinamento nazionale e, soprattutto, i servizi educativi per la prima infanzia (0-3 anni) non sono sufficientemente diffusi in tutto il Paese.
Attualmente, a livello europeo è in corso la discussione sulla direttiva per il bilanciamento tra vita familiare e lavorativa. Il Parlamento ha sostenuto la proposta della Commissione Europea di introdurre l’obbligo del congedo di paternità, retribuito, pari a 10 giorni alla nascita del figlio, l’estensione dei congedi parentali non trasferibili per ciascun genitore fino a 4 mesi, completamente retribuiti. Con particolare determinazione, la delegazione PD ha proposto l’istituzione, nel quadro del nuovo Fondo Sociale Europeo, di un programma ad hoc dal nome Garanzia per i Minori, con l’obiettivo di co-finanziare le iniziative volte ad affrontare gli aspetti multidimensionali della povertà infantile e garantire che ogni bambino europeo possa beneficiare di cinque diritti fondamentali: accesso gratuito a un’assistenza sanitaria di qualità, a un’istruzione di qualità, a un’assistenza all'infanzia, a un’abitazione dignitosa e a un’alimentazione adeguata e di qualità.
Le proposte dell’Unione sono in campo, così come sono noti gli standard dei migliori Paesi europei. Governo e regioni italiane sono chiamate a decidere a quale livello intendono collocare le loro risposte.