Una cultura di morte
La morte non è mai una soluzione. Così i Vescovi italiani intitolano il messaggio della Giornata per la vita (5 febbraio). Eppure, oggi, quando lo sconforto prende il sopravvento, vorremmo quasi trovare una soluzione a tutto nel “dare la morte”. L’aborto quando ho un figlio che non posso mantenere o, perché disabile, non posso accettare. L’eutanasia di fronte a una malattia che non posso sopportare o a una persona cara che non voglio veder soffrire.
Il femminicidio o l’omicidio quando mi ritrovo in una relazione difficile con il partner. Il suicidio quando il male di vivere prende il sopravvento e nessuno riesce a comprendere lo stato d’animo più profondo. L’indifferenza e la chiusura del cuore rispetto a chi fugge da una guerra o dalla miseria. Le armi per risolvere i conflitti tra nazioni. Ma la morte funziona davvero? O abbiamo semplicemente smarrito la consapevolezza cristiana della limitatezza dell’uomo? O, forse, abbiamo smarrito la capacità di affrontare il dolore e le difficoltà?
“Siamo sicuri che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi li sceglie – spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni – e manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire? Siamo sicuri – scrivono i Vescovi – che la radice profonda dei femminicidi, della violenza sui bambini, dell’aggressività delle baby gang… non sia proprio questa cultura di crescente dissacrazione della vita? Siamo sicuri che dietro il crescente fenomeno dei suicidi, anche giovanili, non ci sia l’idea che ‘la vita è mia e ne faccio quello che voglio?’. Siamo sicuri che la chiusura verso i migranti e i rifugiati e l’indifferenza per le cause che li muovono siano la strategia più efficace e dignitosa per gestire quella che non è più solo un’emergenza?
Siamo sicuri che la guerra, in Ucraina come nei Paesi dei tanti ‘conflitti dimenticati’, sia davvero capace di superare i motivi da cui nasce?”. E noi, allora, cosa possiamo fare, se non essere generativi, testimoni di vita? Siamo chiamati a offrire relazioni intrise di amore, rispetto, vicinanza, dialogo e servizio. Raccogliamo l’invito di “educare le nuove generazioni alla gratitudine per la vita ricevuta e all’impegno di custodirla con cura, in sé e negli altri”. Nel testo c’è anche un doveroso omaggio ai “tanti uomini e donne, credenti di tutte le fedi e non credenti, che affrontano i problemi producendo vita, a volte pagando duramente di persona il loro impegno”. Anche nel nostro territorio sono tante, per fortuna, le persone e le organizzazioni impegnate nella difesa e nella promozione della vita.