Un senso particolare
La solennità di Tutti i Santi acquista un significato particolare per la canonizzazione del nostro Papa Paolo VI e per la lettera pastorale del vescovo Pierantonio Tremolada, intitolata “Il Bello del Vivere”. Il giorno successivo, il 2 novembre, è un giorno silenzioso, si visita il cimitero per portare un fiore, una carezza, una parola ai nostri cari
La solennità di Tutti i Santi quest’anno acquista un significato particolare per la canonizzazione del nostro Papa Paolo VI e per la lettera pastorale del vescovo Pierantonio Tremolada, intitolata “Il Bello del Vivere”. Già ci aveva stimolato sull’argomento Papa Francesco con l’Esortazione Pastorale, Gaudete et Exsultate del 19 marzo scorso.
Due ci sembrano gli aspetti originali che i due testi e Paolo Vi ci sottolineano: la santità che nasce dalla preghiera e in modo particolare dalla contemplazione del Volto di Cristo. Papa Francesco scrive al n. 21: “La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi” e al n. 151 “È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità”. Una santità che non si raggiunge semplicemente per via morale (non commettere peccati) ma per via mistica. Paolo VI, il grandissimo pastore umile, era un mistico: di questo speciale rapporto tra lui e Cristo ci parlano i suoi scritti, i suoi gesti, il suo pontificato.
Il giorno successivo, il 2 novembre, è un giorno silenzioso, si visita il cimitero per portare un fiore, una carezza, una parola ai nostri cari. Qui impariamo che cosa sia la mistica: siamo davanti ad una fotografia, ad una tomba eppure le nostre parole e il nostro tono della voce si fanno confidenziali. Parliamo ai defunti sapendoli vivi. Con i fiori e le carezze esprimiamo la nostalgia di un amore vissuto che non vuole morire, ma che attende un nuovo incontro, quello definitivo che il Risorto ci ha promesso. Anche in questo caso il pensiero ricorre a san Paolo VI che scrisse nel “Pensiero alla morte” parlando di Cristo: “Un aspetto su tutti gli altri principale: ‘tradidit semetipsum’, ha dato se stesso per me; la sua morte fu sacrificio; morì per gli altri, morì per noi. La solitudine della morte fu ripiena della presenza nostra, fu pervasa d’amore. (…) La sua morte fu rivelazione del suo amore per i suoi: ‘in finem dilexit’, amò fino alla fine. (…). La sua morte fu testamento d’amore”. Ecco che la nostra morte sia abitata dalla presenza degli altri e sia per gli altri un’offerta e a Dio una restituzione di quanto ricevuto. Sia amore per la Chiesa, per i poveri per l’umanità: questa è la santità. Perché come scrive il nostro vescovo nella Lettera Pastorale: “La santità è avere la vita di Gesù” (p. 20) e a p. 5 “La santità conferisce alla vita dei credenti la sua forma piena, unitaria e armonica”. Come quella di Cristo, appunto.