UE, verso un’economia di guerra?
La dichiarazione non lascia spazio a dubbi. “Dobbiamo essere pronti a difenderci e passare a una modalità di economia di guerra. È giunto il momento di assumerci la responsabilità della nostra sicurezza”. Lo ha dichiarato in un’ampia intervista Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, la massima autorità dell’Unione europea (UE). Nel Consiglio del 21-22 marzo scorsi i capi di Stato e di governo dei 27 paesi dell’UE hanno così deciso di “aumentare in modo sostanziale la spesa per la difesa” e di “migliorare l’accesso dell’industria europea della difesa ai finanziamenti pubblici e privati” invitando la Banca europea per gli investimenti “ad adeguare la sua politica di prestiti all’industria della difesa”.
Dichiarazioni e impegni che tacciono su tre questioni fondamentali. La prima: oggi i Paesi UE nel loro insieme sono già la terza potenza mondiale per spesa militare. Preceduti dagli Stati Uniti (877 miliardi di dollari, 3,5% del Pil) e, di poco, dalla Cina (292 miliardi, 1,6% del Pil), i 27 Paesi UE nel 2022 hanno speso per la difesa 256 miliardi di dollari, pari all’1,6% del proprio Pil (Fonte SIPRI e UE). Ciò di cui l’UE necessita maggiormente non sono quindi maggiori investimenti nella difesa, ma di un progetto di difesa integrato, di una drastica riduzione delle ridondanze e dei doppioni (17 tipi di carri armati, 29 di fregate e 20 di aerei da combattimento) e di un’ampia ristrutturazione delle aziende nazionali della difesa.
Aziende nazionali che, ed è questo il secondo punto, oggi sono in competizione a livello internazionale per accaparrarsi gli ordinativi: è, infatti, proprio grazie alle esportazioni che le industrie militari nazionali riescono a mantenersi attive. Ma da diversi anni i principali destinatari dei sistemi militari europei non sono i Paesi alleati o gli Stati democratici, bensì i regimi autoritari del Nord Africa e le monarchie assolute islamiche del Medio Oriente. Queste esportazioni alimentano tensioni e conflitti regionali: una gravissima responsabilità considerato che l’export di armamenti dei Paesi UE rappresenta più di un quarto del commercio mondiale di armi. Su un punto, invece, l’UE è colpevolmente carente: nella politica estera. L’incapacità dell’UE di essere un attore credibile nelle crisi di questi anni, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia fino all’Ucraina (conflitto lasciato incancrenire per anni da Germania e Francia), ci dicono una cosa: l’UE non ha bisogno di un’economia di guerra, ma di cominciare, finalmente, a sviluppare una politica e una diplomazia di pace.