Tutto mi appartiene
Ogni giorno incontriamo persone di cui non sappiamo nulla
Una persona ha affermato: “Mi sono messo a passeggiare in bicicletta per il mio quartiere e, guardandomi intorno, mi sono detto: niente di tutto questo è di mia proprietà, ma tutto mi appartiene”. Questa frase mi ha fatto riflettere. Anche se niente di ciò che ha visto è di sua proprietà, quella persona ha sperimentato un senso di appartenenza, il sentire cioè che dove vive, luoghi e persone, le appartengono. E questo senso non è quello di possesso, come se fosse il sovrano di un feudo, ma di legame profondo, direi di responsabilità verso quei luoghi e quelle persone. Il contrario del senso di estraneità\anonimato che spesso viene sperimentato nei luoghi in cui viviamo. Arriviamo con la nostra auto, ci infiliamo nel nostro garage (spesso con apertura automatizzata, così che non dobbiamo neanche scendere) e lo chiudiamo, come se alzassimo il ponte levatoio. E lì, nella nostra casa-fortezza, ci sentiamo protetti dall’esterno, ma nello stesso tempo ci chiudiamo alle relazioni esterne, come in una gabbia dorata: è dorata, ma è pur sempre una gabbia, ci protegge, ma contemporaneamente ci isola. E quanta solitudine spesso c’è nelle nostre case, ammucchiate, ma isolate. Spesso ci attiviamo solo perché sentiamo che qualcuno lede i nostri diritti, per difenderci, non perché sentiamo che qualcosa ci appartiene, ne siamo cioè responsabili, fa parte della nostra vita, della nostra identità, è un prolungamento della nostra identità, come ne fanno parte i luoghi in cui trascorriamo la vita. Ci attiviamo per alzare gli scudi, non per accarezzare. E sarebbe bello che percepissimo che non solo i luoghi ci appartengono, ma anche le persone che vivono in questi luoghi, quelle persone che magari vediamo ogni mattina, che però non salutiamo e delle quali sappiamo poco o nulla o solo pettegolezzi. Solo superficie, insomma. Quando intervistano i vicini di casa di famiglie in cui c’è stato un atto efferato, rispondono sempre: “Era una famiglia normale…”. Se noi percepissimo quel senso di appartenenza, ci cureremmo di più anche delle persone che vivono vicino a noi, cureremmo le relazioni, avremmo un vero interesse per loro, per il loro bene. Credo che le persone abbiano sete di essere curate, di sentire che ci si prende cura di loro. E se qualcuno è più sereno di un altro, doni la sua serenità. Fa bene al cuore dissetarsi della serenità di qualcuno con cui veniamo a contatto. La si può trasmettere a parole, ma anche con un sorriso, con uno sguardo, con una gentilezza o con un “come va” non pro-forma. Mettiamo di più nella nostra vita doni non materiali, ma altrettanto tangibili… Ma spesso è più difficile fare questo tipo di doni.