Trump, un vero outsider alla Casa Bianca
Ha parlato demagogicamente alla pancia di una fetta della società americana, ma ha creduto in una politica che ripartisse dal basso, contro un establishment sentito sempre più lontano dai problemi dell’America vera
Contro tutto e contro tutti, Donald Trump è riuscito a diventare Presidente degli Stati Uniti. Sembra essere questa la cifra fondamentale delle elezioni americane. La lunga campagna elettorale costruita sulla delegittimazione reciproca, sugli attacchi personali e sui colpi bassi ha portato alla vittoria del candidato che nessuno si aspettava.
Trump ha vinto contro la stragrande maggioranza dei media americani e internazionali; contro i sondaggi di ogni tipo, realizzati con metodi tradizionali o analizzando milioni di tweet; contro il parere degli esperti; persino contro il proprio partito.
Eppure, evidentemente, Trump ha vinto avendo con sé – non contro – una parte importante del popolo americano.
E’ troppo presto per dire che cosa accadrà, cosa cambierà e cosa rimarrà immutato nella politica interna ed estera americana. Trump è un vero outsider, molto di più di quanto lo fosse Reagan nel 1980 e nessuno sa al momento chi entrerà a far parte della sua squadra in ruoli importanti come il Dipartimento di Stato, della Difesa, del Tesoro. Trump è anche molto più volubile e imprevedibile di quanto lo fosse Reagan, ma in parte
dovrà cercare di ricucire un’America fortemente divisa e polarizzata.
C’è da credere che alcuni passaggi del suo discorso di vittoria, in cui ha annunciato di voler essere il presidente di tutti gli americani, non siano solo di circostanza. È chiaro però che The Donald andrà a Washington con la missione di segnare una chiara discontinuità rispetto ai circoli autoreferenziali con i quali Hillary Clinton è stata così fortemente identificata.
Se è troppo presto per fare vere previsioni rispetto al futuro, è invece importante soffermarsi sul passato recente. Quando diciamo che Trump ha vinto contro tutto e contro tutti, stiamo in realtà ammettendo implicitamente di aver guardato nella direzione sbagliata. Se tutti i mezzi di comunicazione, gli analisti e gli intellettuali cadono delusi dalle nuvole, significa che hanno mischiato lavoro con preferenze personali rifiutandosi consciamente o meno di guardare una fetta importante di realtà americana. Per quanto riguarda i sondaggi, invece, significa che anche questi strumenti ormai spesso non sono affidabili, perché le persone hanno imparato a nascondere le proprie preferenze oppure perché non catturano un campione che sia veramente rappresentativo della società.
Trump ha vinto perché è riuscito a intercettare una parte degli americani che si sentivano esclusi e non rappresentati dalla politica di Washington, mentre la Clinton, volente o nolente, era la candidata meno inclusiva che i democratici potessero presentare.
Trump ha parlato demagogicamente alla pancia di una fetta della società americana, ma ha creduto in una politica che ripartisse dal basso, contro un establishment sentito sempre più lontano dai problemi dell’America vera, quella che vive lontano da Boston, New York, San Francisco. Trump può contare su uno zoccolo duro di elettori le cui opinioni sfiorano effettivamente il razzismo e la xenofobia, ma è anche riuscito a portare dalla propria parte tanti elettori della provincia e delle periferie deindustrializzate che hanno percepito la Clinton come indissolubilmente legata alle lobby e alle grandi multinazionali, le quali si muovono con logiche troppo diverse, se non opposte, ai loro bisogni quotidiani. In sostanza, Trump ha vinto in buona parte perché aveva contro Hillary Clinton, troppo evidentemente bramosa di potere e parte integrante dell’establishment federale per convincere, ad esempio, la comunità nera. Era quasi impossibile per molti afroamericani votare Trump, ma molto probabilmente i sorrisi forzati della Clinton non sono stati sufficienti per convincerli e sembra che tanti di loro abbiano rinunciato a votare.
Come in America, anche in Europa per molti queste sono le ore della sorpresa e addirittura dello sgomento.
Sicuramente Trump non sarà un presidente con il quale sarà facile avere a che fare, ma i governi europei non devono commettere lo stesso errore dei giornali e degli intellettuali americani. Voltarsi dall’altra parte non è mai una scelta saggia per chi fa politica. Trump è certamente un inedito, ma proprio perché inedito non possiamo dare per scontato di conoscerlo già in tutto. Sarà importante usare attenzione, ma se lo accoglieremo con ostilità preconcetta, non potremo che attenderci altrettanto da lui.