Tra fede e scienza
Il pervasivo e talvolta improprio riferimento all’intelligenza artificiale ha da qualche tempo riaperto una riflessione che pareva sopita: quale rapporto esiste tra la capacità razionale dell’uomo, apparentemente replicabile, e le domande di senso che stanno sempre sullo sfondo del nostro agire? Innanzitutto è bene chiarire che l’IA fa riferimento ad una forma specifica del conoscere, quella di tipo logico-formale.
I dati vengono elaborati con algoritmi matematici che, scritti dall’essere umano, sono in grado di autoapprendere da grandi moli di dati e di produrre risultati quantitativi. L’essere umano non può però essere ridotto all’intelligenza logico-formale. La nostra vita è piena di altre capacità di conoscere. Hovard Gardner ha definito numerose tipologie di intelligenza. Tra queste, la linguistica, l’intelligenza musicale, l’intelligenza interpersonale e quella esistenziale, ovvero la capacità di riflettere sulle questioni fondamentali concernenti l’esistenza. Chi di noi non rimane estasiato di fronte ad un quadro, leggendo versi poetici, ascoltando una melodia? Che dire poi della capacità di intuizione, di empatia, di comprensione dell’altro che possiedono alcune persone, che magari non hanno avuto nessun percorso scolastico formalizzato? Si dirà: l’intelligenza artificiale riprodurrà tutte le capacità umane e sarà in grado di comporre musica, di produrre quadri e poesie.
Può darsi, ma a che scopo? Se sicuramente la medicina e le scienze potranno godere delle capacità dell’intelligenza artificiale, quale beneficio per l’umanità da una composizione musicale non prodotta nella penombra di una notte insonne? Mi interroga sempre la curiosità per l’intelligenza esistenziale che sorge in molti scienziati, dopo aver dedicato una vita alle scoperte scientifiche. Dalla scienza alla fede? Per alcuni questo è il percorso, a riprova che l’intelligenza esistenziale può essere coltivata. Esiste però anche il percorso al contrario: se la fede senza dubbio rimane un incontro e un dono, anche da quell’esperienza si può recuperare l’interesse per le altre “intelligenze”. Così Papa Benedetto XVI nel suo discorso (inviato) all’Università la Sapienza di Roma nel 2008: “Per i cristiani dei primi secoli l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano non era una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Potevano, anzi, dovevano riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nascere l’università”.