Talenti in fumo
Chi ha figli alle prese con la scelta del dopo terza media si trova in queste settimane – specie se le idee dei diretti interessati sono ancora un poco contrastanti – a visitare un sacco di scuole.
Gli open day sono una parte certamente impegnativa ma sostanzialmente festosa del passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado. Purtroppo non per tutti. È qui infatti che le statistiche cominciano a monitorare i primi segnali della dispersione scolastica, un fenomeno che somma l’uscita precoce dal sistema formativo, l’assenteismo, la frequenza passiva e che diventa via via più consistente nei primi anni delle superiori. I dati dell’ufficio statistico dell’Unione europea dicono che nel 2020, rispetto alla media europea del 9,9%, l’Italia si trova agli ultimi posti della classifica. Da noi ad abbandonare la scuola è il 13,1% dei giovani tra i 18 e i 24 anni.
Un problema serio, molto serio, che resta però confinato alla discussione e all’analisi degli addetti ai lavori. Non per colpa loro. Il fatto è che si tratta di un argomento spinoso, pieno di subordinate e di implicazioni che portano a galla un sacco di domande che non hanno risposte semplici. Abbiamo a che fare con schiere di irrecuperabili fannulloni o con l’evidenza di un sistema scolastico arroccato a difesa della sua rigida impostazione? Quanto conta l’impreparazione dei docenti a gestire comportamenti borderline e l’assenza nella scuola di competenze psicologiche di supporto? Quanto pesano sull’abbandono dei percorsi di studio i contesti sociali di origine, le differenze culturali, le condizioni economiche familiari, le prospettive occupazionali incerte? La dispersione scolastica è anche un problema di disuguaglianze socio-economiche, e genera costi che tutti sosteniamo per le misure di protezione sociale. Penso con preoccupazione al futuro dei giovani che mollano la scuola, al percorso a ostacoli che la vita adulta riserverà loro, alle opportunità che non potranno cogliere, all’impossibilità di esercitare una cittadinanza attiva. Penso anche che la dispersione scolastica si porti via un’infinità di talenti e di capacità che bisognerebbe almeno tentare di recuperare. Chi lo deve fare? Una scuola nuova, centrata sulla costruzione del sapere piuttosto che sulla trasmissione delle informazioni, una scuola pensata per incentivare le motivazioni negli studenti, per fornire strumenti per muoversi con consapevolezza nel mondo del lavoro. Alternative non ce ne sono e in questo tempo in cui si parla tanto di come usare al meglio i soldi che l’Europa ci mette a disposizione, varrebbe la pena alzare la voce a favore della scuola.