Suona la campanella
Il primo giorno di scuola e quello dell’esame di maturità. C’è sempre qualcosa di misteriosamente elettrizzante nel primo suono della campanella e un che di vertiginosamente trepidante, quando ti siedi nei banchi “da uno” per iniziare a svolgere il tema di italiano, oggi “saggio breve” per la maggioranza degli studenti alle prese con il capolinea della scuola dell’obbligo.
Dopo averne sperimentato gli effetti e le varianti sulla nostra pelle, in quegli anni di formazione che poi quasi senza accorgertene ti segnano per la vita, non ce ne perdiamo una, di prima campanella: dalla scuola materna, quando ci era concesso ancora di avvicinarci mano per la mano ai gradini di ingresso nelle aule, fino al liceo, quando il nostro ruolo era (eventualmente) derubricato ad autista.
Le riforme della scuola passano, il suono della campanella resta: lo sanno bene gli insegnanti italiani, che all’inizio di ogni anno scolastico, nonostante aule spesso fatiscenti e sovraffollate e nuove incombenze trovano il coraggio di aprire la porta della classe e di ricominciare il viaggio, durante il quale capita anche d’incrociare genitori latitanti o interessati a difendere il figlio a tutti i costi, a spese del malcapitato docente di turno. Certo, la scuola come la vita è un microcosmo, e anche tra i prof non mancano quelli svogliati, frustrati e demotivati, così come altrettanto variegata, in positivo e in negativo, è la platea degli allievi e dei loro genitori.
C’erano anche loro, i prof con la valigia, in piazza san Pietro per l’Angelus di ieri. Erano venuti a chiedere un sostegno alla loro protesta per il fatto di dover lasciare la loro isola per poter fare il mestiere che hanno scelto. Il Papa li ha salutati, gli insegnanti precari venuti dalla Sardegna, auspicando che “i problemi del mondo del lavoro siano affrontati tenendo concretamente conto della famiglia e delle sue esigenze”. Anche per loro, oggi, suona la campanella: il 97% dei loro colleghi ha accettato la cattedra trasferendosi altrove - grazie al decreto della “buona scuola” - pur di lasciarsi alle spalle anni e anni di precariato.
Non si può e non si deve generalizzare, dietro ogni insegnante c’è una storia e una famiglia diversa. La sfida più elettrizzante, però, a ogni suono di campanella, è quella di riuscire a dare corpo, anima e gambe all’energia di quel ragazzino di nove anni che ha confidato stamattina a una radio nazionale, con un candore disarmante, ciò che molti suoi coetanei non si sognerebbero neppure di pensare. “Sono contento di tornare a scuola, non solo perché vedo gli amici, ma perché mi piace studiare”. Come suona trasgressiva, questa confessione: auguri, allora, a Pier Luca, e a tutti quegli studenti - tanti - che credono di odiare la scuola ma non sanno ancora che la rimpiangeranno. Come i loro genitori e i loro insegnanti, del resto. Non conosciamo la loro fatica di adulti alle prese con i piccoli e i giovanissimi. Genitori e insegnanti. Ai loro, e ai nostri figli, il nostro “in bocca al lupo”.