di GUIDO COSTA
05 feb 2015 00:00
Stefana: fuori le idee!
Quella della Stefana è una sfida che tiene con il fiato sospeso lavoratori, famiglie, un’intera comunità
Tra le tante cose che si possono rimproverare a questo storico marchio industriale bresciano, infatti, quella dei mancati investimenti non c’è. Ma tra cassa integrazione senza prospettive, contratti di solidarietà come ultima spiaggia e forniture di elettricità e di gas bloccate per il mancato pagamento delle bollette, i 700 lavoratori delle quattro fabbriche Stefana – due a Nave, una ad Ospitaletto, un’altra a Montirone – non capiscono più cosa stia succedendo. Con la richiesta al Tribunale di preconcordato, l’impresa si è messa al riparo dalle azioni dei creditori e ha guadagnato tempo per riorganizzarsi.
I nodi però arriveranno presto al pettine: entro il 30 aprile la Stefana deve presentare un piano di rilancio. Deve dire, in parole povere, come intende riattivare la produzione, sulla base di quali strategie industriali e di mercato; deve dire se ci sono o non ci sono prospettive che possano inserire il gruppo dentro logiche di settore più grandi di quelle della visione storica dell’azienda. La crisi della Stefana è certamente legata alla paralisi dell’edilizia e al crollo dei consumi siderurgici all’interno dell’Unione Europea, ma anche alla frammentazione del sistema siderurgico italiano. Alla prima si accompagna una grave situazione di sovracapacità produttiva che avrebbe bisogno di una gestione coordinata a livello comunitario e che invece sembra essere stata abbandonata ad una sorta di selezione darwiniana; alla seconda la mancanza delle economie di scala delle grandi concentrazioni industriali che nelle situazioni di crisi compensano la flessione dei prezzi e la contrazione dei profitti.
Quella della Stefana è una sfida che tiene con il fiato sospeso lavoratori, famiglie, un’intera comunità. Scrivendo al Consiglio di amministrazione del gruppo, i parroci della zona hanno chiesto che si rinnovi un patto di solidarietà tra l’impresa e il suo territorio: per salvare l’occupazione, per costruire prospettive di fiducia. Occorre però un salto di qualità nella gestione della crisi, la ricerca di sinergie industriali capaci di cambiare i riferimenti tra produzione, costi, mercati. C’è un’altra urgenza oltre a quella dei soldi e un’altra dovrebbe essere la sollecitazione da scrivere sui cartelli della protesta operaia: Ghidini, fuori le idee!
GUIDO COSTA
05 feb 2015 00:00