Sorridenti nel presepe
Preparare il presepe è bello ed emozionante. Si prende un po’ di muschio, qualche pezzo di legno, la carta blu, le stelle, un po’ di cartone, le casette, le statue e la capanna. Il piccolo Gesù è seminudo e sorridente, meglio se disteso sulla paglia, con Maria e Giuseppe in contemplazione e l’asino e il bue ben disposti a destra e a sinistra del bambinello. Ecco pronto il luogo in cui il nostro Dio ha scelto di abitare. Non si sentono odori né il freddo della notte né la solitudine né l’amara sofferenza di essere stati rifiutati.
Eppure lo sappiamo che Dio è nato da un grembo di donna, in una terra dimenticata, figlio di un popolo sottomesso, in una rozza cultura, in una politica di intrighi, in una carne debole come la nostra. Nel presepe, invece, sono tutti così sorridenti! Io stessa sorrido, mentre seguo con lo sguardo il veloce e variopinto rincorrersi delle lucine, respirando quella magia che sa di bello, di sogno e di cielo. Per un attimo sono anch’io così, sospesa nella fiaba di Natale che mi viene raccontata. Ma, appena mi allontano, quel senso di incomprensione e di fallimento che tesse di debolezza la trama dei miei giorni ancora e di nuovo grida il suo bisogno di senso.
E se nel mio presepe quest’anno non avessi paura di mettere me stessa con tutte le mie fragilità e debolezze, invece di presentarmi al piccolo Gesù vestita a festa, come la donna forte e invulnerabile che vorrei essere? La toccherei quella carne, che vive solo perché qualcuno se ne prende cura, la bacerei, soffio leggero che ridà vita, e lascerei che Lui abiti quella parte di me che preferisce e che io detesto, quello spazio lasciato libero al Suo intervento, perché io l’ho abbandonato e nascosto per vergogna e paura. Ecco la compagnia e il senso che il mio limite desiderava, ecco la guarigione che opera in me un Dio così, che se ne sta mezzo nudo sulla paglia, con una mamma e un papà come tutti gli altri, lasciandosi avvicinare sia da gente che non conta, sia da re stranieri venuti da lontano, in una notte che pare essa stessa piegarsi davanti ad un mistero troppo grande. Nel mio presepe, comunque, tutti continuano a sorridere; forse perché hanno intuito che è proprio dentro di loro che Dio ha deciso di abitare: nel silenzio burbero del pastore che avanza timoroso, nelle parole inadeguate della donna che si affaccia alla finestra della sua casetta, nelle menzogne e nell’esaltazione di re Erode, di cui si intravede il castello, nel cuore di Maria, nei pensieri di Giuseppe, nei sogni di gloria di chi attende un altro messia. In questo – e non in un altro – presepe Dio è venuto ad abitare.