Società. Un dibattito incompleto
Il Senato sta discutendo sulla legge relativa allo ius soli. “Voce”, essendomi occupato per anni di problemi legati all’immigrazione, mi ha chiesto un’opinione. Credo che nell’affrontare questo dibattito ci siano alcuni principi da non sottovalutare
Il Senato sta discutendo sulla legge relativa allo ius soli. “Voce”, essendomi occupato per anni di problemi legati all’immigrazione, mi ha chiesto un’opinione. Credo che nell’affrontare questo dibattito ci siano alcuni principi da non sottovalutare. Il vescovo Luciano, negli anni scorsi, ha più volte ricordato che i bambini nati e cresciuti in Italia devono avere gli stessi diritti dei coetanei nati da genitori italiani. Questo, però, va oltre il tema della cittadinanza: si tratta di diritti assoluti, che devono essere garantiti a tutti. Collegarli alla cittadinanza, così come è previsto dalla legge in discussione, rischia di dare vita a nuove forme di discriminazione. Se lo ius soli (e tutti i diritti a questo collegati) prevede la cittadinanza per bambini nati da genitori in possesso di determinati requisiti (presenza in Italia da almeno cinque anni di uno dei genitori, possesso del permesso di soggiorno, esistenza di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; disponibilità di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; superamento di un test di conoscenza della lingua italiana, ndr) che ne sarà di quei bambini nati da genitori che questi requisiti non possono vantarli?
Dovremo accettare che per qualcuno l’accesso alla cittadinanza sia più facile e per altri, invece, un percorso ad ostacoli? Il dibattito in corso sembra, poi, non prendere in considerazione il fatto che sono 52 i Paesi del mondo che non accettano la doppia cittadinanza: quanti saranno quei genitori disposti a privare per sempre il proprio figlio della cittadinanza del Paese di origine? Occorre inoltre fare chiarezza su quali siano gli obiettivi che la legge in discussione si pone. Qualcuno la considera una sorta di “finestrella” che a oggi interessa solo un numero ridotto di persone. Se così veramente fosse, varrebbe veramente la pena lacerare il Paese, costringendolo a dividersi su una legge che già in partenza non sembra garantire a tutti i figli di immigrati lo stesso trattamento? Il Centro migranti a suo tempo presentò la proposta di un’equiparazione dei diritti per tutti i minori: in caso di libera circolazione in Europa sarebbe bastato il rilascio da parte dello Stato di un certificato di equipollenza alla cittadinanza. Indicavamo, poi, che al compimento del 18° anno l’interessato potesse richiedere la cittadinanza come scelta consapevole. Avevamo anche indicato al ministro Kienge una proposta che richiedeva solo un piccolo emendamento alla legge in vigore.