Alitalia: diario degli errori
“Il diario degli errori” è una canzone che passa spesso alla radio, ma è anche un titolo perfetto per la vicenda Alitalia che da troppi anni mette in fila svarioni con responsabilità equamente distribuite tra i diversi attori in campo
“Il diario degli errori” è una canzone che passa spesso alla radio, ma è anche un titolo perfetto per la vicenda Alitalia che da troppi anni mette in fila svarioni con responsabilità equamente distribuite tra i diversi attori in campo. Ieri il Governo ha scelto i commissari per gestire l’amministrazione straordinaria chiesta dall’assemblea dei soci. Un passaggio obbligato dopo che il 70% dei lavoratori ha detto no all’ipotesi di accordo tra azienda e sindacati per il salvataggio della compagnia aerea. Un voto irresponsabile (tanto alla fine lo Stato interverrà comunque a raddrizzare la situazione) o la risposta ad un ricatto inaccettabile (sacrifici o fallimento)? L’impressione è che a spingere il no sia stata la convinzione che in un modo o nell’altro le casse pubbliche provvederanno come sempre hanno fatto. Ma questa è una storia che non c’è più: dopo che l’industria ha perso 600mila posti di lavoro senza interventi pubblici - ha fatto osservare un sindacalista - pensare che nel trasporto aereo ci sia una deroga a questo principio e alle regole europee è il retaggio di un passato che ha portato Alitalia sull’orlo del fallimento.
Sono tante le pagine del diario degli errori di questa azienda: le barricate di politici e sindacalisti nel 2008 contro l’incorporazione di Alitalia nel gruppo Air France-Klm (guarda caso il solo oggi, assieme a International Airlines Group - holding che riunisce British Airways, Iberia, Air Lingus e Vueling - e Lufthansa a reggere e vincere la sfida delle compagnie a basso costo); le scelte strategiche spesso sbagliate e quelle giuste sempre in ritardo di chi si è avvicendato nella gestione dell’impresa; l’invadenza della politica sul mantenimento di una assurda geografia degli aeroporti domestici che ha dato casa e sovvenzioni pubbliche alla spietata concorrenza del low cost, non solo sul mercato di corto e medio raggio ma anche sulle rotte che Alitalia avrebbe potuto/dovuto presidiare. Anche i sindacati hanno lasciato il segno: i vantaggi ottenuti per gli esuberi del 2008 hanno un che di scandaloso e l’eco della loro carica diseducativa ha sicuramente contribuito al rifiuto dei sacrifici previsti dal piano di salvataggio. Per i sindacati confederali la sconfitta è evidente, ma quella dei sindacati autonomi che hanno chiesto ai lavoratori di respingere l’accordo è tutto fuorché una vittoria: ammesso che si trovi qualcuno disposto a rilevare Alitalia, le decisioni che verranno saranno più dolorose di quelle bocciate con il referendum.