Siamo fragili e senza anticorpi
L’amore non uccide. L’abbiamo letto nella fiaccolata a Vigonza per Giada Zanola, la giovane scaraventata dal cavalcavia dal compagno come lui stesso ha ammesso agli inquirenti. Davanti all’ennesima tragedia, siamo inermi. Possiamo e dobbiamo stringerci attorno al dolore dei familiari, la sorella Federica e il fratello Daniel, e del padre Gino. Possiamo e dobbiamo pregare per la vittima e per il suo carnefice (anche se è evidente che la giustizia deve fare il suo corso). E le due comunità (Vigonza appunto e Folzano) l’hanno fatto. Cosa ci resta? Siamo, purtroppo, sempre più incapaci di sopportare il peso del fallimento sia nella vita sentimentale sia nella sfera lavorativa. Eppure viviamo, apparentemente, in una formazione continua che dovrebbe allenarci a superare le prove o ad affrontare le difficoltà. Mai come in questa stagione, psicologi e motivatori propongono ricette ai singoli e alle aziende. Non basta. Ma non significa tornare indietro. Siamo fragili. Perdiamo di vista l’essenziale e inseguiamo l’effimero con la convinzione che sia indispensabile.
Siamo soli con i nostri tormenti esistenziali. Siamo soli in una società che ci avvicina con i mezzi di informazione, ma ci rende al tempo stesso estranei. Siamo soli in una parrocchia/unità pastorale dove chi (laici, presbiteri, religiosi o consacrati) assume le responsabilità pastorali incontra (ma non conosce) le persone: la frequentazione domenicale della Messa diventa l’unica possibilità di avere una relazione. Non è poco, ma non funziona. Abbiamo smarrito il riferimento dell’Assoluto. Il 15 dicembre del 1999, in un’udienza generale, Giovanni Paolo II affermava al proposito che “la perdita del senso di Dio ha coinciso, negli ultimi decenni, con l’avanzare di una cultura nichilistica che impoverisce il senso dell’esistenza umana e relativizza in campo etico perfino i valori fondamentali della famiglia e del rispetto della vita. Si esige paradossalmente che lo Stato riconosca quali ‘diritti’ molti comportamenti che attentano alla vita umana, soprattutto a quella più debole e indifesa. Per non parlare delle immani difficoltà di accettazione dell’altro perché diverso, incomodo, straniero, malato, handicappato. Proprio il rifiuto sempre più forte dell’altro in quanto altro interroga la nostra coscienza di credenti”. In che direzione dobbiamo andare? Nella “Lettera ai parroci” del 2 maggio, Francesco scrive che le comunità parrocchiali devono fare della partecipazione di tutti i battezzati all’unica missione di annunciare il Vangelo il tratto caratteristico della loro vita. Non sarà facile, ma è stimolante.