Si continua a morire sul lavoro
“La tirannia dello status quo” è il titolo di un libro di due studiosi americani che qualche decennio fa indagarono le resistenze del sistema e le possibilità di successo di una nuova compagine amministrativa, arrivando alla conclusione che le scelte di fondo, quelle che hanno l’ambizione di novità significative, devono essere impostate in tempi brevissimi – la “teoria dei cento giorni” – prima che lo status quo riprenda forza. La tragedia sul lavoro avvenuta nel cantiere di Firenze ci mette davanti alla stessa urgenza: mettere in atto da subito una rinnovata strategia sociale per fermare le morti sul lavoro, prima che la quotidianità torni a mettere la sordina alla coscienza collettiva. Inesorabile il flusso delle notizie consegna poco a poco all’archivio le storie degli uomini rimasti sotto le macerie del centro commerciale di Firenze, le emozioni e la rabbia impotente di molti perché senza risposta, i commenti che per diversi giorni hanno fatto della sicurezza sul lavoro un tema di confronto generale.
Onorare la memoria di Taoufik Haidar, Mohamed Toukabri, Mohamed El Ferhane, Luigi Coclite e Bouzekri Rachimi - e insieme a loro quella di Mattia Mauro (schiacciato da un montacarichi in un’azienda di Longhena), Fabrizio Bignotti (morto nell’incendio del mezzo con cui stava spostando materiale incandescente alla Feralpi di Lonato) e Joao Rolando Martins Lima (travolto da un treno vicino alla stazione di Chiari) - deve imporre all’agenda di tutti quelli che hanno voce in capitolo quella concretezza che è carattere distintivo della storia di lavoro e di impresa del nostro territorio.
Il punto di partenza è chiaro. Le norme sulla sicurezza ci sono, sono vincolanti, impegnano tanto le aziende quanto i lavoratori, hanno figure di riferimento precise, con responsabilità chiaramente individuate. Ma allora, perché si continua a morire sul lavoro? Perché nel bresciano in sette anni, dal 2017 al 2023, gli infortuni mortali sono raddoppiati passando da 19 a 38? Perché la sicurezza non si conquista una volta per tutte, perché la routine è sempre una minaccia, perché la stanchezza abbassa la soglia di attenzione, perché le maglie dei controlli da parte degli enti pubblici si sono fatte troppo larghe.
Dobbiamo fare di più per la sicurezza, consapevoli che per ottenere risultati, tutti gli attori – lavoratori, sindacato, impresa, enti pubblici – devono agire insieme. La sicurezza sul lavoro è parte integrante dell’organizzazione aziendale ed ha bisogno di un confronto costante, di partecipazione. Non siamo all’anno zero. Un anno fa in Prefettura venne presentato il “Protocollo provinciale per la sicurezza sul lavoro”, un documento condiviso da tredici associazioni datoriali bresciane insieme alle organizzazioni sindacali. Ci siamo impegnati a definire una strategia comune di sistema per rafforzare sul territorio la cultura della sicurezza sul lavoro, non solo quale valore etico e di responsabilità sociale, ma anche come fattore determinante per la qualità del lavoro, il benessere dei lavoratori e la competitività delle imprese. Un accordo che non aveva precedenti a livello nazionale, testimonianza della capacità di azione e coesione del nostro territorio di fronte alle sfide più importanti. A dodici mesi di distanza, per tante ragioni su cui è inutile recriminare, gli impegni sono rimasti sulla carta. Il drammatico bilancio di questo inizio anno impone di riattivare un percorso virtuoso, ora, prima che la distorsione dello status quo riprenda il sopravvento.