Sguardi di fede
La forza di attrazione dei cimiteri, quel senso di sospensione che ci pervade quando giriamo tra le tombe o sostiamo davanti ad una di esse, è molto simile alla nostalgia di un volto, di un incontro, di un appuntamento mancato o solo rimandato… Siamo noi, corpo vivente, spinti ad un estremo tentativo di contatto con il corpo di chi abbiamo amato, anche se il gelo dell’ultimo bacio, che ancora ci paralizza le labbra, ci ha fatto dire: “Non è più solo qui!”. Noi che, per ricordare i nostri cari, scegliamo la fotografia che li ritrae nel momento in cui stanno vivendo la pienezza della loro umanità: non troppo giovani, ma neppure troppo vecchi, non troppo belli, ma neppure troppo brutti. Noi, fieri di appartenere ad una storia sacra che tra le opere di misericordia corporale contempla il seppellire i morti. Noi, religione del corpo, che narra di un Creatore alle prese con terra e acqua, costole e interventi chirurgici e, in seguito, con ago e filo, intento a rivestire i nostri corpi nudi, e trova la sua massima espressione nell’Incarnazione e nell’Eucarestia, cibo per i nostri corpi, a cui non basta il semplice nutrimento molecolare. Noi, che siamo più di ciò che siamo, sappiamo che questa forte nostalgia ce l’ha messa in cuore Dio. Il nostro Creatore ci ha disegnati per l’eternità, scrivendo futuro, Paradiso, comunione dei Santi, risurrezione dei corpi sulle righe imperfette, spesso storte e scarabocchiate, di ogni cellula del nostro corpo. E non serve una laurea in biologia per leggere la luminosa biografia che ogni donna e ogni uomo sta tracciando su questa terra. Basta affondare lo sguardo un po’ più in profondità e lanciare il cuore un po’ più oltre, per vedere corpi trasfigurati e respirare aria di Paradiso. Del resto, non si dice: “Toccare il cielo con un dito?”, quando il cuore scoppia e si perde in mille frammenti di felicità non più rintracciabili? Io lo ricordo un volto così: si chiamava suor Giovannina. Non era particolarmente bella e nemmeno dotata di un buon carattere, ma il suo profumo riempie ancora le mie narici, le sue parole chiosano i libri di spiritualità che leggo e i suoi occhi illuminano la mia strada. Oso pensare che sarà un po’ così il suo corpo risorto e azzardo una stessa lettura delle vite e dei corpi dei santi che mi vivono accanto e, addirittura, impresa un po’ più complicata, una mia autobiografia in chiave trasfigurata. Mi autorizza a questa opera “letteraria” il corpo di Gesù risorto che sì attraversa i muri, ma anche fa vedere a Tommaso le sue ferite e chiede ai suoi di toccarlo, mangia pesce alla brace in loro compagnia ed è riconoscibile, ma solo da uno sguardo di fede. Appunto.