Serve essere capitale della cultura?
A che serve diventare capitale della cultura? È un titolo che è stato assegnato a Brescia per l’anno 2023, a metà con Bergamo, due territori cugini,che condividono tante storie e il destino sfortunato dell’anno del Covid. Anche per questo quell’occasione prestigiosa merita una domanda d’esordio. Ed esige una risposta che è semplicemente una riflessione collettiva utile per aprire il cantiere. Si per rispondere servono molti pensieri, acute riflessioni, capacità introspettive che riguardano i luoghi e le storie e le persone. C’è sempre un nesso tra questi elementi che costituiscono l’identità.
La cultura è lo svelamento dell’identità, ma anche la sua dimensione mobile, la sua capacità di modificare le cose, la cultura è la spiritualità delle cose. E allora per diventare capitale della cultura in tempi così incerti, occorrerebbe anzitutto la capacità di coinvolgere l’immaginario in un disegno,un progetto etico e politico. Bisognerebbe che i saggi delle due città, le loro classi dirigenti, a cominciare da quella universitaria, fossero convocati ad un impegno per la stesura di una manifesto lungo non più di una pagina ma in grado di dire a che serve essere capitale e poi quali sono gli obiettivi che ci si deve porre. Ascoltando il battito del cuore della città, e della provincia certo. Che manifestano già molti intenti, seppure in dimensione sparsa, non ancora divenuta una collettiva consapevolezza.
Tante idee, tante intenzioni senza un luogo dove depositarne l’istanza per un’esame, un vaglio di compatibilità.
In questo mi pare di avvertire che il ruolo di capitale si vada declinando lungo due direttrici di fondo.
Primo: un’idea di sviluppo del patrimonio monumentale. A Brescia si pensa al Castello come il luogo della nuova dimensione culturale e turistica; a una strada della cultura, da San Faustino a Santa Giulia, attraverso musei, chiese, lo spazio straordinario della città romana.
Sono entrambe idee eccellenti.
Come la possibile conclusione dei lavori del Musil, il Museo dell’industria e del lavoro, atteso da decenni.
Secondo: il consolidamento dell’organizzazione per i molti fuochi della cultura dal vivo, teatri, musica, associazioni, cinema, fotografia, mostre, arti visive, ecc., che meritano per il 2023 un censimento e un più concreto riconoscimento del ruolo.
Ma pare invece considerata finora estranea (ed è qui che serve la risposta alla prima domanda) una terza direttrice, replica obbligata al modello di sviluppo bresciano, l’economia, la capacità di lavoro che non sono state affatto sufficienti a proteggerci.
La ricca energia che ha temprato i caratteri della nostra cultura collettiva ci ha lasciato del tutto vulnerabili di fronte alla tempesta. E dunque essere capitale vuol dire servirsi della cultura per indicare un’altra concezione di sviluppo, che è poi il modo di stare insieme.
Servono un’idea guida ed almeno un progetto che la renda comprensibile.
Nell’ambiente, nella ricerca, nell’università. La più utile sarebbe un modo nuovo di concepire la cura della terza età della vita, la geniale riprogettazione di luoghi e spazi per l’ultimo giro di giostra, così provato nell’anno miserabile del virus in cui, per i vecchi, quel che poteva accadere, inesorabilmente è accaduto.
Questa sarebbe una risposta originale, una ambizione di valore universale per una capitale della cultura. Che può essere un’occasione mondana, un successo di attrattiva e di immagine, ma che in questo tempo non può non essere accompagnata da un nuovo umanesimo con cui rilanciare il futuro del nostro territorio.