Sentenza ragionevole
Per gli indiani il kirpan è un simbolo religioso, per noi, appunto, un’arma impropria. Mons. Perego parla di sentenza “equilibrata” che, però, “non va strumentalizzata in maniera ideologica o per fini elettorali”
Per la religione Sikh, il kirpan (insieme a kes, capelli lunghi; kangha, pettine e turbante; kara, un bracciale d’acciaio, kachera, un indumento intimo) è uno dei simboli sacri che un battezzato è chiamato a indossare in pubblico. Ha fatto discutere la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che i migranti devono “conformarsi ai nostri valori”, condannando un indiano di religione sikh che era stato fermato a Mantova dalla Polizia perché trovato in possesso di un coltello sacro kirpan mentre girava tranquillamente per la città (possesso di arma impropria). Per gli indiani quello è un simbolo religioso, per noi, appunto, un’arma impropria. Condannato a 2000 euro di ammenda, il signore ha fatto ricorso in appello, ma alla fine la Cassazione gli ha dato torto. “Non è tollerabile – si legge nel verdetto – che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel Paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”.
Una sentenza “ragionevole”. Così mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, commenta la decisione della Corte di Cassazione. Mons. Perego parla di sentenza “equilibrata” che, però, “non va strumentalizzata in maniera ideologica o per fini elettorali”. A Brescia, nel frattempo, è stato messo a punto un prototipo del kirpan, una versione più arrotondata e che non può superare una certa misura. In una società sempre più multiculturale, presumibilmente, si presenteranno altre situazioni analoghe. Al di là della sentenza, resta un dovere delle istituzioni, “contrastare – ha dichiarato recentemente mons. Paul Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati – ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento religioso e, in prospettiva positiva, promuovere e proteggere la libertà religiosa allo stesso modo e con tutti gli strumenti impiegati per la difesa di ogni altro diritto fondamentale”.
Da questo punto di vista il cristianesimo ha un grande merito, quello di “avere contribuito a creare, nella separazione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, la possibilità di sviluppo di uno Stato laico, inteso non come uno Stato totalmente avulso dalla religione, o peggio ancora come uno Stato agnostico, ma come uno Stato che, consapevole del valore del riferimento religioso per i suoi cittadini, garantisce a ciascuno – conclude Gallagher – il diritto di vivere secondo la propria coscienza la dimensione religiosa”.