Sei la parte più bella di me
Nel corso della nostra vita sogniamo di partecipare al nostro funerale e di vedere chi piange per noi, chi si presenta per l’ultimo saluto, chi ci ha perdonato le offese, chi ci ringrazia per il tratto di strada condiviso, chi ci chiede, attraverso la preghiera, scusa o chi non ci ha mai sopportato o compreso del tutto. Proviamo anche una sorta di imbarazzo nel consolare o nel cercare di trovare le parole giuste davanti ai familiari dei defunti. Se sono anziani, ci sembra quasi di sottovalutare il peso del distacco; se sono giovani, ci sembra quasi di sbiascicare qualcosa di incomprensibile e forse anche di assurdo per i genitori ancora in vita. Siamo un po’ impreparati. Con la pandemia abbiamo perso quella capacità di stare accanto alle famiglie. Tutto svanisce velocemente, a maggior ragione se la sepoltura viene sostituita dalla cremazione con una cerimonia che diventa più intima e meno comunitaria. Abbiamo, però, bisogno di riappropriarci della morte, cioè di interrogarci sul senso ultimo della nostra esistenza. Riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. Noi, umanamente, cerchiamo di esorcizzare la morte, di allontanarla, ma corriamo il rischio di sentirci immortali. Filosofi, scrittori e teologi hanno provato, con alterne fortune, a riflettere sulla morte.
Nelle ultime settimane “Maneskin”, un giovane gruppo che molti ricorderanno anche per la vittoria a Sanremo e all’Eurovision nel 2021 con “Zitti e buoni”, hanno pubblicato il singolo “The loneliest” (Il più solitario). Il video eloquente riprende un funerale all’aperto con tanto di benedizione del sacerdote. In pochi giorni ha superato le sei milioni di visualizzazioni. È un record. La musica ti coinvolge così come il ritornello (“You’ll be the saddest part of me/Sei la parte più triste di me; A part of me that will never be mine/ Una parte di me che non sarà mai mia”). È una ballata solo all’apparenza triste, che svela poi il suo significato d’amore profondo. “Il brano − spiegano Maneskin − è una via di mezzo tra una lettera d’amore, un addio e un testamento. È quel che diresti alle persone a cui vuoi bene quando qualcosa di bello finisce. Esprime un messaggio d’amore universale. La canzone è un modo per superare la solitudine. Qualcosa che tutti hanno provato in un modo o nell’altro. Si sente la lotta alla nostalgia e al dolore fino al grido d’amore catartico finale. Fare questa canzone è stata un’esperienza di guarigione”. I quattro giovani musicisti meritano un plauso perché, oltre ad emozionarci, ci aiutano a riflettere. Proviamo a fare un passo in avanti e a collegarci a quanto vivremo in questi giorni con la solennità di Tutti i Santi e con la commemorazione dei fedeli defunti. Sarebbe bello che ognuno di noi potesse affermare di fronte alla morte di qualcuno: “Sei la parte più bella di me”, perché l’incontro con te mi ha cambiato e mi ha aiutato a crescere, nonostante le difficoltà che possiamo respirare in ogni relazione; “Sei la parte più bella di me” perché il tuo ricordo vive dentro di me; “Sei la parte più bella di me” perché il tuo esempio è uno stimolo.
Per dirla con le espressioni di Sant’Agostino, “la morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. (…) La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo”. È questo l’approccio cristiano alla morte che si apre poi al tema della risurrezione, ma qui serve un ulteriore passo in avanti. Già l’apostolo Paolo, scrivendo alle prime comunità, esortava i fedeli a “non essere tristi come gli altri che non hanno speranza”. “Se infatti crediamo – affermava Benedetto XVI − che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti (1 Ts 4,13-14). È necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”.