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di ALBERTO CAMPOLEONI 03 nov 2022 10:26

Scuola: il merito in classe

Non si può non tornare sulla parola “merito”. L’accostamento di questo termine a quello di Istruzione, nella definizione del Ministero dedicato alla scuola nel nuovo governo Meloni ha già fatto saltare il banco, nel senso che ha scatenato appalusi e polemiche allo stesso tempo, liberando il confronto e le opinioni più diverse sul significato, sull’uso e sulla contestualizzazione del termine.

Cosa significa merito? E cosa significa applicarlo alla scuola? Un dizionario ci aiuta spiegando che “merito” significa “diritto alla stima, alla riconoscenza, alla giusta ricompensa acquisito in virtù delle proprie capacità, impegno, opere, prestazioni, qualità, valore”. In buona sostanza – e perdonandoci la semplificazione – il merito è frutto dei talenti individuali, che vanno adeguatamente promossi e riconosciuti.

Cosa vuol dire applicare il merito nella scuola? Immediatamente viene da pensare – e lo hanno fatto in molti – combattere quello che viene descritto come appiattimento dell’istituzione scolastica, sia a livello di risultati degli studenti (con una selezione quasi inesistente e dati sconfortanti nelle indagini sulle competenze) sia a livello di responsabilità (e crescita salariale) dei docenti. Per anni è stato quest’ultimo aspetto, ad esempio, ad essere considerato un tabù che, per chi ricorda bene, fu anche causa di dimissioni ministeriali.

Il neo ministro Valditara ha peraltro specificato, cercando di ragionare proprio sulle polemiche legate al termine “merito”, che “La scuola è l’infrastruttura più importante del Paese. Deve, in primo luogo, saper individuare, valorizzare e fare emergere i talenti e le capacità di ogni persona indipendentemente dalle sue condizioni di partenza, perché ciascun giovane possa avere una opportunità nel proprio futuro, tra l’altro in consonanza con la lettera e lo spirito dell’articolo 3 della Costituzione. Favorire il merito significa dare alle scuole infrastrutture e dotazioni di qualità, valorizzare gli operatori scolastici, sintonizzarsi con il mondo del lavoro, agire sulle competenze, fornire gli strumenti per sviluppare un percorso di crescita individuale e collettivo”.

Insomma, la “scuola del merito” dovrebbe essere un’istituzione capace di rinnovare le proprie risorse, rivolgersi a tutti – e non penalizzare il tema dell’inclusione – con attenzione al fatto che chi si impegna deve poter veder riconosciuto in modo adeguato il proprio percorso. Magari a partire da quello dei docenti, che secondo la premier Meloni sono “spesso lasciati soli a nuotare in un mare di carenze strutturali, tecnologiche, motivazionali” e per i quali promette garanzie su salari e tutele.

Si potrebbe discutere a lungo – e certamente lo si farà in questo inizio di legislatura e soprattutto negli ambienti che si occupano del mondo scolastico – sulle implicazioni “buone e cattive” di un richiamo così esplicito e provocante come quello legato alla nuova denominazione del Ministero di Viale Trastevere. In realtà il vero banco di prova sarà costituito dalle mosse concrete. Che non possono non partire dalla messa in condizione di tutte le scuole di partire da un uguale punto di partenza. Ha senso parlare di merito, infatti (senza ulteriori distinguo), quando si possono avere minime garanzie uguali per tutti: infrastrutture adeguate, ad esempio. Chi si ricorda i dislivelli nella Dad (reti internet, computer e chi più ne ha più ne metta)? E chi ricorda le denunce infinite sull’edilizia scolastica?

Sono solo due esempi. Concretissimi. E insieme passaggi sfidanti per la scuola italiana, che “meritano” attenzione.

ALBERTO CAMPOLEONI 03 nov 2022 10:26