Scattare una foto a colori
Ho guardato più volte questa immagine. Certamente in questi giorni. A pensarci bene, però, l’ho vista molto più spesso nella mia vita. Perché ha tre caratteristiche che la rendono irrimediabilmente simile a tante altre: la distanza, il bianco e nero, il mirino.
La distanza permette a chi guarda di non vedere in volto le persone ritratte, di considerarle formichine, non degli uomini in carne e ossa con la loro dignità e personalità. Il bianco e nero sfuma tutto, soprattutto le nostre responsabilità. Il mirino dice una volontà precisa, quella di uccidere, di pensare che la soluzione sia quella di eliminare qualcuno e non il problema. Questa immagine è identica a quelle appese sui muri dei campi di tortura e di concentramento; è la stessa delle ecografie di embrioni prima di un aborto, a cui è negata a priori la liberté, l’égalité e la fraternité; è drammaticamente ripetuta ogni volta che uno muore per cercare sbarchi a porti per lui inaccessibili; la ritroviamo in un tribunale senza giudici dopo 50 anni da Piazza Loggia.
Temo che, con i nostri silenzi e le nostre abitudini, siamo addirittura noi a scattarla. Qui e ora vorrei, almeno, che entri dentro la mia coscienza e che ci rimanga, magari per un bel po’, finché non ne scatterò un’altra, con un volto ben visibile, a colori, felice per la vita.