Salari bassi?
L’improvvisa frenesia registrata nel nostro Paese sul progetto di “direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea” è davvero strana. Tutte le anticipazioni portano infatti a credere che in Italia non avrà ricadute. Il fatto è che da noi esiste una sorta di “partito del salario minimo fissato per legge” che ha pensato bene di approfittare della notizia arrivata da Bruxelles per chiedere a gran voce che il Parlamento si pronunci una volta per tutte. Non sono d’accordo e provo a spiegare perché. Io faccio il sindacalista, rappresento i lavoratori che mi chiedono di tutelare i loro interessi, e lo faccio attraverso uno strumento che si chiama “contrattazione”. Il risultato finale sono i “contratti” che hanno una cornice nazionale, applicata, così certifica il Cnel, nel 91% delle attività di lavoro; dentro questa cornice si sviluppa una contrattazione aggiuntiva (territoriale, aziendale, decentrata, di secondo livello): attraverso cui si adeguano i salari in base agli indicatori di produttività e al contesto economico. Detto questo arriviamo a due domande cruciali. Abbiamo in Italia un problema di salari troppo bassi? Sì, assolutamente sì, soprattutto dove non si fa la contrattazione decentrata, oggi realtà solo nel 20% dei luoghi di lavoro. La soluzione potrebbe allora arrivare attraverso una disposizione di legge? Dati alla mano, io penso di no.
Ripeto: dati alla mano, non percezioni. Nel nostro Paese i fautori del salario minimo per legge fissano la paga oraria tra gli 8 e i 9 euro. Uno studio molto approfondito del Dipartimento contrattazione della Cisl, che volentieri metto a disposizione di chiunque voglia affrontare l’argomento, dimostra che sotto la soglia di 8 euro l’ora in Italia c’è un numero scarsissimo di lavoratori, il 2,4%. Diventa allora chiaro che l’obiettivo dei sostenitori del salario minimo fissato per legge è ridurre il ruolo della contrattazione e degli attori che la determinano. Come hanno rilevato i ricercatori di Adapt, siamo in presenza di una “narrazione mediatica, anche sapientemente provocata da alcune forze politiche e sociali”, che “ha da tempo individuato una correlazione tra salario minimo, dignità del lavoro e crescita economica presentata come inconfutabile. Un’equazione corretta in linea teorica, ma non se calata nel contesto italiano”. La contrattazione collettiva – afferma il progetto di direttiva europea – resta la pratica più utile al progresso dei diritti, delle tutele e del benessere in ambito lavorativo.