Rossini e “il lockdown” dei cattolici
C'è un sentire fatto di persone e comunità capace di gesti e relazioni che nell’epidemia si è attivato a sostegno del sistema Brescia. Un sentire non etichettabile, ma intrinsecamente ecclesiale che fa dell’ispirazione cattolica bresciana una fonte dell’agire sociale
Val la pena di prendere tra le mani il libro “Più giusto” di Roberto Rossini (nella foto), presidente delle Acli. Riflettere sul ruolo dei cattolici oggi non guasta mai e ci stimola a rileggere la qualità della nostra fedeltà evangelica. Vale ancor più la pena se la lettura ci permette di restrigere il punto di vista rispetto al tempo (i mesi dell’emergenza) e allo spazio (il territorio bresciano). Ne guadagneremo, forse, qualche indicazione anche per la nostra Chiesa. D’altro canto ci stiamo chiedendo: “Cosa dice lo Spirito ai cattolici di Brescia?” E il dibattito? Legittimo pur con posizioni diverse. Mi pare ve ne siano già emerse alcune neoclericali e "ad intra" meno capaci di cogliere la complessità di quanto avvenuto.
Altre più laiche, che pur colpite dai non insignificanti simboli religiosi della presenza cattolica, hanno colto e sottolineato la qualità di un sentire evangelico ancora diffuso e incarnato nel bresciani. Un sentire fatto di persone e comunità, alieno dai discorsi, ma capace di gesti e relazioni che nell’epidemia si è attivato a sostegno del sistema Brescia. Un sentire non etichettabile, ma intrinsecamente ecclesiale che fa dell’ispirazione cattolica bresciana una fonte dell’agire sociale. Ma chissà quanto altro si potrebbe dire...