di SAVIO GIRELLI
07 gen 2016 00:00
Riti di giubilo
Oggi, se possibile, le indulgenze dovrebbero riaccendere il gusto, il desiderio e il compito di un “lavoro su di sé”
Intervenendo “festivamente”, con il Giubileo le indulgenze interrompevano saltuariamente una “logica feriale” secondo la quale ad ogni peccato grave perdonato da Dio corrispondevano lunghi tempi di cambiamento, di rinuncia, di fatica, di “lavoro su di sé”. Questo mondo penitenziale, rispetto al quale le indulgenze irrompono come “festa”, oggi non esiste più. E questo è frutto non del mondo moderno, ma dell’evoluzione della prassi e della disciplina ecclesiale, che ha reso molto più frequente l’esperienza del sacramento, “sottraendo” spazio al lavoro penitenziale. In una chiesa, nella quale si moltiplicavano le occasioni feriali di “celebrazione del sacramento”, andò ad erodersi gradualmente lo spazio festivo della indulgenza medievale.
Già la Chiesa postridentina aveva conosciuto questa evoluzione. Ancor più questo è accaduto nella Chiesa del 900. Questo ha messo in moto non solo la disciplina, ma anche la dottrina, che con Paolo VI, Giovanni Paolo II e Francesco, ha subito un grande cambiamento. Ciò che oggi sperimentiamo è, per certi versi, l’opposto di ciò che accadeva 700 anni fa. Nel Medioevo le indulgenze “attenuavano il duro regime penitenziale”, mentre oggi, se possibile, le indulgenze dovrebbero riaccendere il gusto, il desiderio e il compito di un “lavoro su di sé”. Per questo il “tema” ha ancora intatta la sua attualità: ma deve essere usato “al contrario”. Non per dispensare dal lavoro penitenziale, ma per stimolare verso di esso. E questo è perfettamente coerente con quanto leggiamo nella Bolla Misericordiae vultus.
SAVIO GIRELLI
07 gen 2016 00:00