Riflettere oggi sull’antisemitismo
La Giornata della Memoria del 27 gennaio – per ricordare la Shoah, lo sterminio nazifascista di milioni di ebrei – quest’anno ha il suo punto di partenza nel ritorno in forme violente dell’antisemitismo: l’attacco di rara ferocia di Hamas contro ebrei inermi ai confini di Israele ha riportato alla memoria i pogrom antigiudaici che hanno costellato la storia e che nel Novecento hanno avuto il loro spettrale coronamento nella Shoah.La guerra che è conseguita dopo il 7 ottobre 2023 – tra legittima reazione di Israele per sconfiggere il terrorismo di Hamas e trasformazione di questa guerra in una furia del governo Netanyahu, egemonizzato dalla destra messianica, contro la popolazione palestinese di Gaza – invita a riflettere con disincanto sulla rinascita dell’antisemitismo.
Non solo l’antisemitismo pervade oggi la maggioranza dei Paesi di religione islamica, ma le giovani generazioni dei Paesi occidentali, come dimostrano i sondaggi. I giovani sembrano simpatizzare per Hamas proprio per il significato antisemita dell’attacco ad Israele.
Un dato sconcertante particolarmente in Europa: è come se la generazione di studenti che si è formata con le Giornate della Memoria rifiutasse il significato etico e civile di questa stessa giornata. In che modo spiegare questo paradosso? È come se le difficoltà sociali e politiche anche nelle democrazie costituzionali trovassero la loro valvola di sfogo nella teoria cospiratoria delle colpe dell’ebreo. Un capro espiatorio cui addossare le cause dei mali sociali e politici della politica interna e internazionale.
Un paradosso che va di pari passo con una evoluzione della riflessione teologica e filosofica in senso opposto: Auschwitz è ormai un “theologumenon” dal quale non si può prescindere per una riflessione su Dio, il male e la teodicea, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza. È una discrasia che pone inquietanti domande sulla rilevanza sociale della teologia e della riflessione filosofica: ai limiti della insignificanza per la formazione di una opinione pubblica critica?
A preoccupare sono i sentimenti antisemiti nelle giovani generazioni, quasi a conferma della tesi storiografica che dopo tre generazioni da un evento, per quanto catastrofico, la memoria sociale tende a obliarlo. Una dimenticanza facilitata oggi dai social e dalla rete multimediale, dove, venuto meno ogni canone culturale come metro di giudizio condiviso, proliferano le peggiori ideologie, tra le quali appunto l’antisemitismo, come fosse una opinione legittima come le altre presenti sul Web.
Che fare? Nonostante tutto, continuare, con pazienza e fiato lungo, a parlare pubblicamente di Auschwitz, ora che per motivi anagrafici stanno venendo meno gli ultimi testimoni, nella consapevolezza che il futuro della qualità della vita pubblica delle democrazie liberali va di pari passo con la lotta per frenare e scacciare i demoni dell’antisemitismo. Una lotta senza fine, perché una plurisecolare colpevolizzazione dell’ebreo s’è a tal punto sedimentata - in quel deposito involontario della memoria collettiva rappresentato dal linguaggio - che è pronta a riemergere al minimo segnale di crisi della convivenza sociale.
Una diagnosi pessimista? Realista direi perché, come osservava Theodor W. Adorno nelle sue riflessioni sull’antisemitismo, l’odio verso gli ebrei è la cicatrice insieme della cecità e della potenziale violenza contro l’altro, il diverso simbolizzato dal giudeo, da parte di una coscienza che si rifiuta di riflettere. Una sorta di coazione alla regressione della civilizzazione. E oggi assistiamo al fenomeno transnazionale di una ragione pubblica che sembra voler abbandonare la propria età adulta.